E la poesia venne a cercarmi...

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sergio937
view post Posted on 16/2/2015, 16:28




IL GAROFANO, di Evaristo Carriego

Accadde al sorgere di un dubbio insinuativo
che la tua severa aristocrazia venne ferita,
come un simbolo rosso della mia audacia,
da un garofano che la tua mano non coltiva.
Forse ci fu una frase suggestiva,
o la tua perspicacia subdorò un’intenzione
e allora la tua serenità piena di grazia
finse una ribellione dispregiativa…
E così, nella tua vanità, per l’impaziente
condanna di un orgoglio intransigente,
il mio rosso araldo di preghiera amorosa
meritò, per la sua simbolica insolenza,
- come fosse un apostolo o un bandito -
la ghigliottina delle tue nobili dita.
 
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Amélie Verne
view post Posted on 24/2/2015, 17:28




Restai insaziata tutti i miei anni.
Arrivato il pomeriggio, tremante
avvicinai il tavolo per mangiare
e assaggiai un vino strano,

quello che avevo visto sulle tavole
quando affamata - tornando a casa -
guardavo attraverso i vetri la ricchezza
che non speravo di possedere mai.

Non conobbi l'abbondanza del pane -
era diversa la briciola
che avevo divisa con gli uccelli
nella sala da pranzo della natura.

Il troppo mi urta - è così insolito.
Mi sentivo a disagio, spaesata -
come una bacca ai fratta montana
trapiantata sulla strada.

E non avevo fame. Allora capii
che la fame è un istinto
di chi guarda le vetrine dal di fuori.
L'entrare, la disperde.

Emily Dickinson
 
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sergio937
view post Posted on 8/3/2015, 22:17




Corrado Govoni (1884-1965)


NOTTE
Alla memoria dell’amico indimenticabile Sergio Corazzini

Il diluvio azzurro delle campane è terminato.
L’ultimo roseo del crepuscolo
del suo pudore tardivo
tinge i torbidi vetri.
Il sole è caduto giù
dalle vecchie mura
come un capo ghigliottinato
che inzacchera la città
del suo sangue di martire.
E come una marea sotterranea
l’ineluttabile ombra sale
sommergendo l’idilliaco bianco
delle colombe tubanti sul tetto.
Frullano intorno a le finestre
i viscidi ombrelli
dei pipistrelli
piccoli funebri aeroplani,
paracadute delle lucciole.
Ecco che in fondo ad una via
sorge la luna rossa e rotonda
come l’insegna infuocata
d’una bottega di cocomeri.
Ella a poco a poco impallidisce
e diventa sentimentale:
illumina un banco di marmo
in un giardino che aspetta
inutilmente una coppia di amanti;
entra nella mia stanza a cogliere
in flagrante tristezza
un mazzo di rose;
va a fare la notturna toeletta
davanti allo specchio.
La sonnambula orchestra dei gatti elastici,
sulle gronde, già incomincia
ad accordare i suoi magri
elettrici violini
dalle corde fatte coi nervi
dei più feroci suicidi;
musica da trapezio,
saccheggio d’una ferrareccia,
danza del ventre,
chirurgia infernale.
I vostri poveri intestini
sembrano nelle mani d’un cordaio ossesso
che ve li torce e tira orribilmente
vertiginosamente
sull’orlo d’un burrone,
le vostra ossa in possesso
d’un diabolico arrotino
che ve le aguzza senza compassione
in una mola arroventata.
L’idropico proletariato delle rane
sembra assediare la città:
rullano i suoi mille tamburi infaticabili.
Poche nubi cenciose sporche
boicottano la luna.
Spuntano incerti ai canti delle vie
i fanali, gialli crumiri;
illuminano dentro un tabernacolo
una Madonna di stucco
coi suoi fiori di carta colorata
in un barattolo da pomodoro;
a una finestra senza vetriate
un garofano rosso
in un bianco pitale.
Mio Dio, come è buio quaggiù in terra!
Tutto buio e paura.
Ma lassù splendon gli astri lieti e chiari.
Per chi splendono tutte quelle stelle?
Oh vivere la vita in rosso di Marte!
Oh vivere la vita polare della Luna!
Oh vivere la vita apira di quei soli abbacinanti!
Oh vivere la vita eccentrica di Saturno!
ch’è il bianco clown del firmamento
che fa i suoi esercizi tra gli anelli!
Tremola la via lattea,
catena di montagne di diamanti,
scala paradisiaca di mondi preziosi,
immensa cintura
che cinge i pianti d’ebano della notte.
Oh! via sua una cometa automobile
dal lungo strascico di madreperla
di pavone avventizio,
a precipizio
lungo la via lattea
a sollevare polvere di mondi…
O astri imperscrutabili e lontani,
mari glaciali di smeraldo
vulcani di rubini
cateratte d’opali,
o stelle, qual è il vostro scopo?
qual è la vostra vita?
Siete voi la sublime prova
d’una ricchezza sopranaturale,
d’una gioia superterrestre?
Od invece il prodotto d’una gran miseria,
d’una tristezza infinita?
Che importa se lucete tanto?
Non risplendono forse anche le perle?
Eppure sono il risultato d’una grave
malattia delle ostriche!
Non son gli uomini sulla terra come i vermi
una necessità della carogna?
Buio e silenzio in terra: solo
là in una povera soffitta
s’alza il patetico monologo
d’usignolo
s’un violino:
tiremolla d’allegria e di tristezza,
che fa pensare a un tisico bambino
che un compagno crudele
solletica sotto le ascelle.
Le ombre lunghe allampanate
si ritirano come le lumache nel loro guscio.
Ed è l’alba: le rane
battono in ritirata nel pantano.
I galli vittoriosi cantano l’epinicio
rivolti al loro maresciallo
che purpureo s’alza all’orizzonte.
Un fabbro celebra
l’umano sacrificio del lavoro
sull’altare cornuto dell’incudine.
Spuntano bianchi e rosei i campanili,
stazioni di telegrafia senza fili
delle anime
che riprendono le loro interrotte
comunicazioni col cielo.
 
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257 replies since 5/11/2009, 19:25   2383 views
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