DYLAN DOG N.20-DAL PROFONDOSoggetto: Tiziano Sclavi, Alfredo Castelli
Sceneggiatura:Alfredo Castelli
Disegni: Corrado Roi
Copertina: Claudio VillaIl male che gli uomini compiono si prolunga oltre la loro vita, mentre il bene viene spesso sepolto insieme alle loro ossa. (William Shakespeare)A voi che credete di potervi disfare di tutto, di chiudere i brutti sogni in un cassetto, di affogare i dispiaceri in modo che non tornino più a galla, a voi che credete di scappare dal passato, di fare un enorme torto a una persona e poi scaricarvi al coscienza, sappiate che tutto, alla fine, ritorna.
Come un boomerang, il male, le offese, la cattiveria gratuita, ritornano al suo proprietario originale…non si sfugge a questa regola.
C’è un mostro informe che risale dalle profondità della Terra a tormentare la famiglia Crane, portando con sé una fame vendicativa, fame di carne umana.
La sua è una rabbia primitiva, triste e feroce come il pianto di un bambino solo, triste e abbandonato da chi diceva di amarlo e proteggerlo…
Un'originalissima variazione sul classico tema di Psycho, con una struggente “storia nella storia”.
Una trama allucinante, claustrofobica, drammatica, a tratti nauseante(ricordo ancora con ripugnanza il bambino che si ciucciava il verme), una sequela di deliri senza tregua e un Groucho in grandissima forma, oserei dire una delle sue migliori “interpretazioni”.
Questo era il periodo d’oro di Dylan Dog, dopo questo discreto albo(per me questa è una Storia che non va oltre la sufficienza piena per via dei disegni di Corrado Roi, un disegnatore che non ho mai apprezzato, che ho sempre trovato troppo, come dire, “vacuo”) seguì quel filone strepitoso che raccoglie il meraviglioso duo “il castello della paura/la dama in nero”, “memorie dall’invisibile”, “l’isola misteriosa”, “i conigli rosa uccidono”.
Purtroppo quel Dylan Dog non esiste più, dopo il sublime Armageddon, il suo canto del cigno, la creatività dei suoi autori è andata via via scomparendo, quelle atmosfere sono andate perse per sempre e oggi ci ritroviamo tra le mani un Dylan Dog “povero”, troppo banale e troppo costante.
Quel Dylan Dog aveva una marcia in più, un’anima tragica e poetica, un’indefinibile quintessenza dal fascino perverso che, purtroppo, non rivedo negli albi postcedenti il n.73.
Voto: 6.5