BIG EYES, Tim Burton

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view post Posted on 27/1/2015, 03:17
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Sapiente Malizioso
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BIG EYES (2014) di Tim Burton
Amy Adams (Margaret Keane), Christoph Waltz (Walter Keane), Jason Schwartzman (Ruben)

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Niente favole incredibili e niente milioni spesi in mirabolanti effetti speciali nel nuovo progetto di Tim Burton; si torna ai toni pacati e alla dimensione umana e “raccolta” presente negli ottimi “Ed Wood” (1994) e “Big fish” (2003). Come per i coevi “The imitation game” (incentrato sul matematico Alan Turing) e “La teoria del tutto” (sulla vita del fisico Stephen Hawking), la strada scelta è quella del biopic. Burton ha tentato di mettere il suo talento visionario nel racconto dell’incredibile vita della pittrice Margaret Keane, altresì nota come “l’artista dei bimbi dai grandi occhi”. I quadri kitsch della Keane sono sempre piaciuti al regista il quale, sin dai suoi primi passi nel mondo del cinema, ha sempre mostrato una certa fascinazione per il kitsch; prova ne sono “Edward mani di forbice” (1990) e “Ed Wood” (quest’ultimo è stato indicato da Burton stesso, in una recente intervista a “La Repubblica”, come possibile “gemello” di “Big Eyes”).

Anni ‘’50: l’attraente Margaret (Amy Adams), in compagnia della giovane figlia, fugge a San Francisco per liberarsi del soffocante marito; qui farà conoscenza con l’esuberante affabulatore Walter Keane (Christoph Waltz) con cui convolerà velocemente a nuove nozze. Entrambi sono pittori in erba: lui ama ritrarre scorci di città (ha studiato arte in quel di Parigi, afferma a più riprese con orgoglio) mentre lei dipinge malinconici bambini con occhioni sproporzionati. SPOILER Per un puro caso (il tutto nasce da un litigio in un locale) i quadri di Margaret diventano popolarissimi e fanno innamorare l’America; personaggi famosi e non comprano le sue opere e, prima volta nella storia dell’arte, semplici riproduzioni delle stesse (siano esse su manifesti o poster o tazzine). Walter, attraverso innovative strategie massive di vendita, apre una nuova strada nel mercato dell’arte e si arricchisce. L’unico problema è che i quadri dei “bambini dagli occhioni tristi” vengono firmati col suo nome perché “se fossero firmati da una donna non li comprerebbe nessuno”, quindi la povera Margaret resta nell’oscurità, relegata a mera esecutrice; neppure la figlia conosce la verità. Walter, da personaggio fatuo quale è, perde il senso delle cose e, accecato dall’avidità, diventa un tutt’uno col suo mondo dorato fatto di grandi bugie. E’ a questo punto che Margaret trova la forza di ribellarsi trascinando il marito in tribunale riapproppriandosi dei propri meriti. FINE SPOILER

Cosa dire? Sono presenti sprazzi, situazioni e colori del Burton che gli appassionati amano ma questi si perdono nelle pieghe di un narrato che a mio parere rimane troppo in superficie. Quale il motivo di quegli occhioni giganti? Perché non insistere maggiormente sull’aspetto caratteriale di Margaret? Un pugno di immagini evocative non può conferire tensione drammatica a un film che non va oltre il mero didascalismo formale. Il film è tratto da fatti realmente accaduti, perché ammantarlo di colori vividi e facce sorridenti che tanto male si attagliano a una storia che comunque è oscura (con lieto fine ma dai contorni tristi)? La parte dell’ (altrove) ottimo Waltz non è per nulla indovinata, assolutamente sopra le righe, pare una fastidiosa macchietta impazzita; prova evidente ne sia il grottesco, irreale e ridicolo processo finale (non ho potuto non scorgervi un certo, poco lusinghiero, nesso con la “deliranza” di “Alice in Wonderland”, 2010). Si sarebbe potuto puntare maggiormente l’attenzione sulla sua bravura come uomo d’affari (invece il tutto si risolve in una sterile battuta contro Andy Warhol). Non capisco come il brano “Big Eyes” di Lana del Rey non sia stato candidato all’Oscar nella categoria “miglior film”. Nel complesso un prodotto appena discreto che si segue con facilità in cui, però, la genialità di Burton emerge sporadicamente. Un passo indietro rispetto a “Dark Shadows” (2012).

VOTO 6
 
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