LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI - Paolo Giordano
(Mondadori 2008)
La vittoria del nostro più prestigioso premio letterario credo sia dovuta alla grande capacità della Mondadori di farne un caso: autore giovane quasi per davvero in un paese in cui la maturità sembra arrivi a 50 anni, dal mestiere alquanto oscuro e quindi fascinoso, sempre per un paese in cui tutto ciò che riguarda numeri, sperimentazioni, teoremi, etc etc è a dir poco alchimia, un romanzo che parla di ragazzi “estremi”., di dolori adolescenziali, di “male di vivere”.
Complimenti alla Mondadori, premio meritato per l’editore. Mi ricorda un po’ ciò che riuscì alla Feltrinelli diversi anni fa con la Di Lascia.
Ma il libro....secondo me non ha neppure il respiro di un romanzo, non c’è abbastanza carne sul fuoco, punta a catturare due psicologie “malate”, le spalma su una 20na di anni, tirando il tutto il più possibile.
La storia è anche banale, niente di nuovo sotto il sole, ma fa acqua da tutte le parti: come possa un medico non capire che la propria moglie abbia dei disturbi alimentari fino a che la cosa non gli prema per davvero causa voglia di fare un figlio già è incredibile, ma qui siamo di fronte ad una anoressica che non ha neppure il ciclo, e lui non se ne accorge! Come si possa pensare che la famiglia di lei praticamente mai abbia fatto una osservazione sul suo regime alimentare, magari solo per forzarla, poi è per lo meno strano, a meno che non sia un indizio del freddo che governa la famigliola stessa, del disinteresse reciproco che ha portato anche all’incidente, e in questo ultimo caso oibò è una boiata. Non vorrei poi sottolineare la banalità del rapporto fra adolescenti, fra i maschi l’amicizia, l’interesse, la frequentazione assidua anche avvolta dal mutismo dei rapporti saldi e indecifrabili si porta dietro un amore represso (amicizie maschili no mai, se stanno troppo appiccicati allora sono gay, se non tutti e due uno di sicuro), alle ragazze invece tutto e permesso, stanno insieme, vogliono frequentarsi, si rimane affascinate dalla loro bellezza perfetta, ci si fa marchiare a fuoco in nome di lei, ma quella è solo “amicizia”, voglia di integrazione etc etc, vuoi mettere? E’ il pregiudizio più trito che ha dannato molti ragazzi e graziato molte ragazze nell’adolescenza.
In questi venti anni poi, cosa è successo intorno? Il mondo non c’è, un vuoto descrittivo, un vuoto narrativo che è riempito dalla citazione di due o tre canzoni a scandire gli anni che passano, punto.
E fin qui, pace, ma il problema grosso è la lingua, una prosa piatta piatta, senza un’impennata, stretta in schemi linguistici che ritornano in maniera fastidiosa,le spalle dei protagonisti che invariabilmente vengono scrollate, ma anche da un continuo susseguirsi di “...era come...”, esempi, metafore, etc come se l’autore seguisse il compitino della maestra. Una prosa leggera per i primi due capitoli, poi l’asfissia ti prende, il narrato ti imprigiona e ti stanca, arriva la noia, appunto doveva essere un racconto, non un romanzo.
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