IL MIO NOME è ROSSO di
Orhan PamukGiallo, Einaudi 2001, 493 pagine
Il libro deve molto al nostro Eco, impossibile non ripensare allo scriptorium del nome della rosa quando Pamuk descrive il mondo dei suoi miniaturisti, i loro desideri, le dinamiche interne al gruppo, le due opposte visioni del senso e del fine del disegno (ma c’è anche una stanza del tesoro che riamnda alla biblioteca).
Un mondo in bilico fra tradizione e apertura all’esterno, sotto la spinta dei traffici commerciali con l’Italia, in un momento in cui irrompe nella pittura la tridimensionalità, la profondità di campo, ma soprattutto l’idea dell’artista quale individuo creatore, l’opera d’arte come oggetto unico espressione di talento e di ispirazione umana. Ed ecco che anche le persone divengono soggetti individuali, autonomi, il cui senso di vita si racchiude in se stessi e nelle relazioni con gli altri, rivelando un potenziale sovverviso all’ordine dei ruoli sociali e non che si tramanda da secoli.
Anche qui una trama gialla, molto serrata e una sottotrama rosa piena di sensualità.
Ottima l’idea della narrazione degli stessi eventi da più punti di vista, accadimenti che si sfaccettano mutando via via sotto la percezione del narratore di turno.
La divisione in microcapitoletti aiuta nella lettura da pendolarismo (il che non è male).
© Tutti i diritti riservatiEdited by LordDunsany - 30/5/2009, 16:25