| L’insostenibile peso della guerra
C’era una volta un gruppo di amici, degli studenti liceali, i cui unici pensieri erano lo studio, gli amici e le ragazze Niente oscurava il loro mondo dorato, niente poteva impensierirli, fino a quando una terribile guerra non scoppiò sotto i loro occhi e portò via per sempre, insieme alle loro vite, anche le loro speranze e i loro sogni E’ l’immagine di una generazione stravolta dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale, nel 1914. E’ la struggente narrazione di un ragazzo di appena vent’anni, Paul Bohmer, che si ritrova, insieme ai suoi giovani amici, a combattere una guerra che non gli appartiene. Il ragazzo, pagina dopo pagina, commuove il lettore con la sua drammatica ed esaustiva descrizione degli avvenimenti più significativi degli anni passati al fronte, ma anche le proprie riflessioni, la propria angoscia per un futuro che vede sempre più nero. Sono struggenti le immagini dei corpi mutilati e sbalzati fuori dai vestiti dalle granate, le reclute inesperte che muoiono sotto i primi bombardamenti, davanti a queste situazioni crollano tutte le certezze di Paul, della sua generazione. Cito una delle frasi più significative dell’intero romanzo: “Non siamo più giovani, non aspiriamo più a prendere il mondo d’assalto. Siamo dei profughi, fuggiamo noi stessi, la nostra vita. Avevamo diciott’anni e cominciavamo ad amare il mondo, l’esistenza: ci hanno costretti a spararle contro. La prima granata ci ha colpiti al cuore; esclusi ormai dall’attività umana, dal lavoro, dal progresso, non crediamo più a nulla. Crediamo alla guerra”. Una guerra che per questi ragazzi diventa giorno dopo giorno indispensabile, diventa qualcosa che li fa sentire vivi, tanto che Paul, tornato a casa dopo aver ottenuto un paio di giorni di licenza, si renderà ben presto conto che la vita normale non gli appartiene più, l’unico suo desiderio, l’unica sua bramosia è quella di ritornare al fronte, di rivedere i suoi amici.. E i suoi amici, a uno a uno cominceranno a morire tutti, ma la morte assume una valenza diversa, tragica, orribile e inaccettabile, ma ormai obbligatoria. Per non impazzire deve essere vista come qualcosa di naturale e inevitabile, ma non è così quando Paul è costretto a pugnalare un soldato francese e a passare con l’agonizzante una serie interminabile di ore. I sensi di colpa lo divorano quando capisce di aver ucciso un uomo come lui, di aver assassinato un giovane soldato che aveva l’unica colpa di indossare una divisa di un altro colore. Paul non riesce a capire perché quel povero tipografo francese sia suo nemico, perché debba ammazzarlo. Nessuno riesce a capire chi ha voluto che i poveri tipografi tedeschi si scontrino coi poveri tipografi francesi e nessuno immagina un perché di tutto questo, la guerra è solo e unicamente lo specchio della pura follia dell’uomo, nulla più. E’ questo il messaggio finale dell’autore, che ha deciso di raccontare una delle più brutte pagine della storia mondiale attraverso gli occhi di un ragazzo. Il suo è un forte grido di pace, un richiamo a pensare all’inutilità della guerra, a non permettere l’abbattimento di una generazione nel nome dell’avidità e della crudeltà. Il libro lancia anche un messaggio di uguaglianza…il crudele nemico altro non è che un povero soldato quanto te che sei chiamato a ucciderlo, ha le tue stesse paure, i tuoi stessi pensieri, i tuoi stessi tormenti e davanti a quest’ovvia constatazione la guerra diviene qualcosa d’impensabile, di totalmente assurdo. Purtroppo il monito di Remarque non verrà ascoltato, dieci anni dopo la pubblicazione del libro scoppierà una nuova guerra, di gran lunga più sanguinosa di quella combattuta da Paul( e dallo stesso autore), ma nella quale non si dovrà più sopportare il dolore di guardare in faccia il nemico agonizzante. E a me, che questa guerra l’ho vissuta attraverso gli occhi e i racconti dei miei nonni, mi vengono subito alla mente i versi di una splendida canzone di Fabrizio De Andrè, “La guerra di Piero”:
Dormi sepolto in un campo di grano non è la rosa non è il tulipano che ti fan veglia dall'ombra dei fossi ma son mille papaveri rossi
lungo le sponde del mio torrente voglio che scendano i lucci argentati non più i cadaveri dei soldati portati in braccio dalla corrente
così dicevi ed era inverno e come gli altri verso l'inferno te ne vai triste come chi deve il vento ti sputa in faccia la neve
fermati Piero , fermati adesso lascia che il vento ti passi un po' addosso dei morti in battaglia ti porti la voce chi diede la vita ebbe in cambio una croce
ma tu no lo udisti e il tempo passava con le stagioni a passo di giava ed arrivasti a varcar la frontiera in un bel giorno di primavera
e mentre marciavi con l'anima in spalle vedesti un uomo in fondo alla valle che aveva il tuo stesso identico umore ma la divisa di un altro colore
sparagli Piero , sparagli ora e dopo un colpo sparagli ancora fino a che tu non lo vedrai esangue cadere in terra a coprire il suo sangue
e se gli sparo in fronte o nel cuore soltanto il tempo avrà per morire ma il tempo a me resterà per vedere vedere gli occhi di un uomo che muore
e mentre gli usi questa premura quello si volta , ti vede e ha paura ed imbraccia l'artiglieria non ti ricambia la cortesia
cadesti in terra senza un lamento e ti accorgesti in un solo momento che il tempo non ti sarebbe bastato a chiedere perdono per ogni peccato
cadesti interra senza un lamento e ti accorgesti in un solo momento che la tua vita finiva quel giorno e non ci sarebbe stato un ritorno
Ninetta mia crepare di maggio ci vuole tanto troppo coraggio Ninetta bella dritto all'inferno avrei preferito andarci in inverno
e mentre il grano ti stava a sentire dentro alle mani stringevi un fucile dentro alla bocca stringevi parole troppo gelate per sciogliersi al sole
dormi sepolto in un campo di grano non è la rosa non è il tulipano che ti fan veglia dall'ombra dei fossi ma sono mille papaveri rossi.
E penso ancora a quanta follia ci sia a questo Mondo.
Voto:9
Edited by La Venere di cioccolato - 31/3/2010, 21:08
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