| La paura, l’irriducibile lotta contro la finitezza dell’uomo. La storia degli androidi è la storia dell’uomo, l’unico animale che è cosciente della sua finitezza, del suo termine e il termine è alla base delle sue paure, delle sue sublimazioni, della sua lotta millenaria per l’immortalità. Il tema di Dick è far sapere all’uomo che sta per morire, che il tempo è residuo, che la data è quella: ecco allora la ricerca di una via di scampo, la richiesta di più tempo, la melanconia incolmabile della bellezza della vita e della sua qualità (vedasi il colloquio fra Hauger e il suo creatore). In Blade runner tutti i personaggi principali sono androidi, diversi perchè non riconosciuti umani ma che sono umani perchè vivono, perchè credono nella loro umanità indotta (i ricordi, la vita ricostruita, c’è già un accenno alle tecnologie e alle realtà virtuali, il risveglio alla Matrix da una realtà ricostruita virtualmente ha la sua origine in Dick) e non si arrendono allo scadere di questa esperienza che li fa essere uguali agli altri, che li fa sentire umani. E la loro diversità ha radici sulla coscienza di esserlo, non sul fatto oggettivamente biologico di esserlo. Scott ha certamente una predilizione per le soluzioni muscolari, ma qui tutto funziona Dal punto di vista di oggi, poi, si aggiunge una riflesisone non saprei quanto voluta che è quella fra uomini usati per il lavoro, uomini a perdere, e uomini che se ne servono, una riflesisone che si accompagna alla difficoltà dei migranti di ribadire la loro uguaglianza rispetto ai popoli che li ospitano. Il tema degli androidi è lo stesso di Impostore, il film è davvero poco significativo, ma il racconto è bellissimo, anche se è incentrato più sull’aspetto dello sdoppiarsi della coscienza dell’uomo, del suo confronto con la realtà esterna (quale per altro? cosa è reale?), del percorso quasi analitico di conoscenza di se stesso.
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