ZANZARE
di William Faulkner
Le fastidiose protagoniste di questo secondo romanzo faulkneriano esistono solo perché agiscono: esse, infatti, benché Faulkner non le menzioni mai esplicitamente in alcuna parte della narrazione (e questa, forse, è la particolarità più piacevole, il guizzo stilisitco più interessante) fanno avvertire la propria presenza, deturpano la pelle con le punture, esasperano con i ronzii. E ancor più infondono la propria natura, quello spasmo necessario e fatale per il sangue umano, nei personaggi stessi di questo lungo racconto: l'anelito irrefrenabile verso la vita è ben rappresentato nella disperata e comica sete d'amore di Talliaferro, nell'oscura bramosia di Gordon, nell'inevitabile passività conturbante di Jenny.
L'intera vicenda (divisa in quattro giornate), con la sola eccezione del prologo e dell'epilogo, ha luogo su un piroscafo, il Nausikaa (il cui nome rappresenta il primo, chiaro rimando all'Ulisse di Joyce, che, come per L'urlo e il furore, diventa, per Faulkner, costante riferimento a cui guardare e dal quale attingere): su questa barca, piccolo universo autonomo e prolifico, in cui vige, sopra tutto, l'allentamento dei freni inibitori (al momento della sua pubblicazione alcune parti del romanzo furono rimosse perché giudicate troppo ardite), convivono forzatamente artisti e giovani ragazzi, a cui s'aggiungono, come pesi necessari all'equilibrio, la padrona dell'imbarcazione e il suo futuro sposo. All'interno del romanzo i dialoghi tra questi bizzarri personaggi (per inventare i quali l'autore utilizza persone del suo universo, non dandosi nemmeno la pena di trasfigurarle più di tanto) diventano spazi che egli riserva a sé: abbondando le riflessioni riguardo il ruolo dell'arte e dell'artista nella società, della percezione dell'arte da parte delle donne, etc.
E per quanto queste riflessioni siano interessanti e stimolanti, finiscono per rallentare inevitabilmente il ritmo della narrazione, già di per sè non particolarmente sostenuto. In Zanzare non c'è l'equilibrio de L'urlo e il furore, nè la sua precisione asciutta, capace di suggerire piuttosto che ammorbare; il romanzo è pieno, scoppia di descrizioni che, per quanto suggestive, diventano ridondanti. E l'ansia di uno scrittore alla sua seconda prova si sente: il malcelato desiderio di scandalizzare (per cui Faulkner si spinge a descrivere una scena saffica), la troppa pienezza dello stile (che leggevo essere caratteristica degli autori del Sud), la sperimentazione stilistica (certo meno ardita e più zoppicante di quella del suo capolavoro) rendono il clima del romanzo appestato, avvolgente ma al tempo stesso conturbante.
In conclusione un bel libro, disperatamente comico, non fondamentale.
VOTO: 7