Complimenti per l'ottima recensione tiresia
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Il cavaliere inesistente più volte (e qui mi sembra doveroso negare quella che potrebbe sembrare una passione per Calvino, che pure è tanto interessante per chi aspira a scrivere: egli mette a nudo l'inganno, scompone il processo della scrittura, e lo fa in un modo particolarmente palese proprio in questo romanzo, portando alla luce il meccanismo a cui bisogna ricondurre il funzionamento del tutto. Ogni volta che leggo un suo romanzo l'impressione che ne ricavo è quella dell'ingranaggio scoperto, visibile, che toglie un poco di piacere alla lettura ma rende l'autore un grande maestro di stile).
Le ragioni di questa lettura ripetuta a distanza di anni possono essere ridotte a due; ragione numero uno: Calvino è un autore che da giovani (al tempo della prima lettura) si affronta (e ciò in particolare se parliamo della trilogia degli Antenati) in un modo innocente ed ingenuo; difficilmente si coglieranno le implicazioni più profonde della vicenda nell'età in cui queste storie pretendono di essere lette. Ciò che ci interesserà allora sarà inevitabilmente l'aspetto superficiale della narrazione, il "cosa accade". Solo più tardi ci appariranno chiari non solo i rimandi e gli omaggi (nel caso specifico ad Ariosto e ai poemi cavallereschi in generale) ma anche i pregi della scrittura di Calvino (il che rende necessario rileggerlo per non rischiare di perdersi il vero gusto della sua prosa).
Ragione numero due: la mia professoressa di italiano alle superiori era appassionata di Calvino (mi sembra di ricordare che abbiamo analizzato almeno tre romanzi dell'autore nel corso di tre anni).
Su questo, in particolare, feci un tema (nel passaggio dalla quarta alla quinta) che mi fruttò, con quell'insegnante, il mio primo 9 (grazie Calvino
): il focus intorno a cui il tema andava sviluppato era proprio lo smascheramento della finzione; il fatto che colei che scrive sia anche personaggio della vicenda, infatti, rende questo romanzo un raffinato esempio di metascrittura. Il processo della scrittura è, da un lato, passione (nell'accezione di sofferenza) e dichiarazione di impegno morale ed intellettuale, e dall'altro territorio dell'infinita possibilità, dominio dell'immaginazione (che spesso integra il racconto laddove esso è mancante). Eppure, nonostante tutto, l'autore percepisce la sua opera come inutile: la vita è fuori, pulsa nella sensualità delle passioni dell'uomo, nelle sue sofferenze e nelle sue grandezze; la pagina scritta appare bianca a colui che non sa come colmare il divario esistente tra realtà e finzione.
Ma ecco che, ad un tratto, la parola compie un balzo, entra nel mondo, diventando strumento attraverso il quale l'uomo razionalizza l'esperienza tangibile e ne conserva memoria.
E "
quello che il volgo - ed io stessa fin qui - tiene per massimo diletto, cioè l’intreccio d’avventure in cui consiste ogni romanzo cavalleresco, ora mi pare una guarnizione superflua, un freddo fregio, la parte più ingrata del mio penso".
VOTO: 7,8