| Sense and sensibility. Ragione e sentimento. Elinor e Marianne. I miei commenti non saranno mai abbastanza esplicativi, tali da far capire cosa significa "entrare" in un romanzo di Jane Austen; perché ognuno di noi vive in maniera diversa le sue opere, ognuno si affeziona ad un personaggio diverso, ognuno sceglie se calarsi nei panni di Marianne, l’ardore giovanile, la passione, la vivacità, il dolore senza moderazione, o in quelli di Elinor, la discrezione, la convenienza, il decoro. E nella stessa misura ciò accade con Elisabeth e Jane, in Pride and Prejudice, ad esempio, o con Jane Fairfax e Emma. E la Austen, lei, da che parte stava? Elinor rappresenta forse una proiezione di sé stessa, così come sembrava con l’ironia, la caparbia, la mordacia di Elisabeth? Forse non è importante. L’aspetto più significativo è la genialità con cui riesce a mettere a fuoco un universo che potrebbe sembrare frivolo, superficiale, monotono, ma che in realtà è il mondo, quel mondo che lei osservava sin da piccola, pungente come pochi altri. Non c’è guerra, non c’è Dio, c’è soltanto la storia dei suoi personaggi: e ci sono i matrimoni, quasi a scandire un ordine finale a cui tutto si ricongiunge. Willoughby, Edward, Brandon, stravolgono e assestano le vite delle protagoniste, i cui dialoghi sono lo specchio del giudizio e della sensibilità, sono frammenti di esagerazione, menzogna, amore, ironia, idiozia. Leggendo, mi scoprivo a pensare che la Austen si fosse divertita a scrivere quelle frasi: che fosse insaziabilmente desiderosa di scrivere, nata per scrivere. Per raccontarci quanto possa essere profondo un sentimento, sotto la corazza della futilità, quanto possa essere incantevole o tagliente uno sguardo, una parola, un gesto. E penso che l’archetipo del personaggio femminile che prepotentemente regna nei suoi romanzi fosse lei, Jane Austen, tenera e spietata osservatrice del mondo.
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