CHERI (2009)
di Stephen Frears. Con Michelle Pfeiffer, Rupert Friend, Kathy Bates, Felicity Jones.
Non conoscevo per nulla il regista. Conoscevo poco persino gli attori. Abbastanza profonda, però, era ed è la mia conoscenza dell'opera di quella dotata scrittrice che si chiama Colette.
L'atmosfera di
Chéri mi aveva catturata due anni fa, quando del film già si parlava (in realtà le prime voci riguardanti la possibile realizzazione di un film tratto da questo/i romanzo/i avevano iniziato a circolare, se non ricordo male, ben sei anni fa) ma con tutt'altri protagonisti: i primi candidati al ruolo di Fred Peloux (il Chéri del titolo) e di Lea de Lonval erano, rispettivamente, Hayden Christensen (e fu proprio grazie a lui che decisi di leggere il libro, visto che è un attore del quale seguo la carriera da 7/8 anni) e Jessica Lange (la quale, se non sbaglio, è rimasta ugualmente coinvolta nel progetto benché nel ruolo di co-produttrice). Inutile dire che sarebbero stati entrambi perfetti; un anno fa, però, il film è stato ripreso e i loro due nomi (una delle ragioni pare fosse l'età della Lange, troppo "matura" per il ruolo; ma queste sono soltanto maligne voci di corridoio) sono stati cancellati in favore di Rupert Friend e Michelle Pfeiffer.
Ed ora cominciamo con la vera recensione del film che, devo premettere, non sarà altro che una demolizione progressiva ed impietosa dello stesso, certamente parziale ma, per me necessaria visto che, dopo essermi coscientemente inflitta questo tormento, sento la necessità di sezionare la pellicola per cercare i pochi aspetti positivi.
Sapevo che 7,50 euro sarebbe stata una cifra spropositata per un film di appena un'ora e quaranta (l'orologio dice anche meno), durata irrisoria già di per sé ma ancora più ridicola se si considera che il film ha la pretesa di raccontare le vicende di ben due libri (
Chéri e
La fine di Chéri); ma la durata passa facilmente in secondo piano se il film ha una certa qualità: ebbene,
Chéri è tutt'altro che un film di pregio. Già il trailer (caratteristica rara tra i trailer) fa intuire la natura di questo mero prodotto commerciale: Fears strizza l'occhio a
Le relazioni pericolose, nostalgicamente illuso di poterne ripetere il successo; la prima mossa in questa direzione la fa ricreando il sodalizio con Michelle Pfeiffer e, nel farlo, sacrifica inevitabilmente la fedeltà al libro.
Il fascino della Pfeiffer è distante anni luce dalla seducente morbidezza della bella cortigiana Lea; la prima è piatta laddove l'altra abbonda, l'una è spigolosa ed ha un corpo che respinge laddove l'altra accoglie e consola. Il corpo di Lea racconta, il suo petto si stringe intorno alla testa di Chéri, che in lei ricerca più dolcezza che non la seducente o violenta passione. Allo spettatore che non ha letto il libro Michelle potrà anche sembrare convincente, ma tale di certo non apparirà a colui che lo ha letto e che sa che, quando il romanzo fu trasposto per il teatro, il ruolo di Lea venne interpretato dalla stessa autrice (che era una donna tutt'altro che secca). Già il fatto di considerare quale fosse l'ideale di bellezza del tempo in cui il libro è ambientato (primo decennio del Novecento) avrebbe dovuto indurre il regista a scartare Michelle ma, ahimé e ahinoi, così non è stato.
Anche per quanto riguarda Chéri la scelta non poteva essere più sbagliata: se Friend somiglia al protagonista nella corporatura (né alto né basso e piuttosto magro; di Fred non ha, però, il portamento fiero, senza contare che le sue mani sono davvero orribili), di certo non ne possiede la bellezza (quel tipo di bellezza che, ci rammenta più volte Colette, fa voltare le donne per strada mentre le fa sospirare). Ma forse, tra tutti, Friend è quello che meno mi ha fatto inorridire (se escludiamo la pietosa scena finale e il fatto che fosse meno gaio e frivolo di quanto non appaia Chéri).
A livello di trama mi è sembrato seguire abbastanza fedelmente il romanzo: Fred Peloux ha diciannove anni; è il capriccioso, arrogante ed introverso figlio di una cortigiana che tanto poco si è occupata di lui durante l'infanzia (la deliziosa magia dei particolari attraverso i quali Colette racconta i primi anni di vita di Chéri, tra belletti e ghiaccio per non fare invecchiare la pelle, nel mezzo di trasparenti coppe di champagne per vivere in una costante, dissoluta incoscienza, si perde, nel film, dove i fatti sono raccontati in uno scarno resoconto fatto da un'irritante voce fuori campo). Il caso vuole che il giovane venga affidato dalla sciagurata genitrice ad una "collega", Lea appunto, affinché questa lo istruisca nell'arte dell'amore. La relazione, però, proseguita per ben sei anni, farà si che tra i due si stabilisca un rapporto estremamente complesso (riduttivo sarebbe definirlo amore, soprattutto per quanto riguarda il sentimento di Chéri) che finirà per logorare entrambi dopo il matrimonio del giovane (i cinquant'anni di Lea contro i venticinque di Chéri, etc.).
La prima parte del film si svolge come una chiassosa mascherata, a tratti grottesca ed oscena (come lo sono alcuni personaggi) ma, benché tendenzialmente eccessiva, almeno in armonia con l'ironia sottile della scrittrice (strappa allo spettatore qualche risata che non sia di disperazione). A partire dalla seconda metà, invece, il clima subisce un'improvviso mutamento: la disperata tristezza di Lea per la propria perdita precipita il film in un'atmosfera quasi lugubre; i colori si scuriscono, l'amore consumato alla luce di qualche candela, in stanze buie, è più simile ad una violenza consensuale quando non ha i tratti della noia. Inutile dire come tutto ciò sia lontanissimo dall'equilibrio malinconico del libro, il quale, pur parlando d'amore fisico (Colette era maestra nel raccontare il piacere) lo fa con estrema delicatezza (la pellicola, infatti, soffre di troppe di scene girate tra le lenzuola: viene esplicitato, a volte in un modo violento e disturbante, ciò che poteva benissimo essere lasciato all'immaginazione; e questo finisce non solo per ammorbare lo spettatore ma per rappresentare anche un punto morto nello svolgimento della trama. Senza contare poi che un pubblico sensibile potrebbe non reggere il fondoschiena nudo di Friend).
Anche i dialoghi, mantenuti spesso invariati rispetto al romanzo (Colette, che ha scritto durante la sua carriera molte piéces teatrali, era maestra nell'immaginare dialoghi estremamente efficaci), perdono la loro lucentezza (soprattutto per quanto riguarda quello tra Chèri e Léa alla fine del primo libro), diventando parole spesso vuote.
In conclusione, di questa pellicola salvo soltanto i costumi (curati con maestria in ogni loro particolare, a partire da un delizioso accostamento di colori), le ambientazioni (riproduzione discreta dello stile Liberty di una Belle Epoque oramai in declino) e i titoli di testa (che integrano, tra le altre, alcune splendide opere di Mucha). Le interpretazioni generalmente funzionano; quello più in parte è, probabilmente, come ho già detto il protagonista.
Un ultimo doveroso appunto: del secondo libro, in questo film, non v'è nulla; la solita voce fuori-campo ne racconta la fine, senza poesia né comprensione di quella che è l'anima dei libri. Nemmeno al più brutto romanzo della letteratura di tutti i tempi augurerei d'essere liquidato in un modo tanto brutale.
Insomma il mio consiglio è: risparmiatevi la tortura se avete letto i libri; se non li avete letti, invece, non preoccupatevi: avrete comunque occasione di rimanere perplessi.
VOTO: 6 (politico)
Edited by private eye - 4/9/2009, 20:02