Il ritratto di Dorian Gray (al di là della paradigmaticità della vicenda) è emblema della scrittura che acquista una dimensione di corpo e sangue fuori dalla pagina stampata. Dorian è il personaggio che, pur impoverito ed appiattito nel processo che lo ha reso stereotipo (della vanità, dell'arroganza egocentrica, dell'estetismo decadente portato alle sue estreme conseguenze) diventa (e impossibile è non notare il paradosso che questo comporta) patrimonio della cultura popolare, punto di riferimento incessante (e, spesso, usato in modo improprio). Quindi merito a Wilde per essere riuscito a dare vita ad una creatura capace di destare tanto interesse. Tra i personaggi, comunque, ho trovato ben più interessante il complesso ed oscuro "diavolo" del racconto, Lord Henry Wotton (che nella mia testa ha sempre avuto la faccia di Rupert Everett
). Egli, corruttore dell'ingenuità sempliciotta del Dorian delle origini, lo cambia e lo plasma a tal punto da renderlo un'altra persona (la profondità del personaggio è la stessa dell'inizio): la corruzione e la rovina del giovane, perduto nell'aridità e nel vizio, sembrano essere parte di un processo inarrestabile, frutto dell'influenza oscura di una forza più grande e potente di lui, una forza coercitrice e suadente. Per questo, e per altre innumerevoli ragioni, il romanzo è tanto complesso: gli spunti di riflessione sulle sue tematiche sono potenzialmente infiniti (l'autenticità del sentimento amoroso come elemento che abbruttisce l'uomo poiché lo precipita in una dimensione mortale; i possibili punti in comune con il Faust, etc.).
Wilde, inoltre, correda il tutto con descrizioni estremamente raffinate di ambienti, abiti, visi, fornendo così alla letteratura mondiale uno dei suoi capisaldi.
VOTO: 8