NEL PAESE DEI CIECHI -
Herbert George WellsUn uomo capita casualmente all'interno di una valle invalicabile abitata da un popolo di ciechi.
La storia è serratissima, l'uomo, tronfio, forte del suo vantaggio fisico, viene messo sotto scacco da tutta la popolazione che si fa sempre più minacciosa, riducendolo addirittura in schiavitù.
C'è tutta una riflesisone sull'etnocentrismo, ma Wells non è banale: non c'è solo l'individuo che smania per il dominio basandosi su una presunta superiorità, possiede un senso in più rispetto agli altri, ma quello stesso uomo non ha nessuna possibilità di scampo, perchè capovolgendo il discorso la sua diversità sarà intollerabile e l'altra società gli imporrà l'assimilazione.
Si respira tutto il dramma del colonialismo, e aggiornata all'oggi, tutto il dramma delle migrazioni: siamo il popolo di ciechi che vuole l'assimilazione dello straniero, altrimenti non tollerato.
La pressione all'unifomità sociale, la pressione all'annullamento delle diversità, la rinuncia radicale a un aparte di sè per sopravvivere, per emanciparsi dallo stato di schiavitù è l'infinita storia dell'individuo che si annulla nella massa.
Wells dunque mette in campo una piccola storia di relativismo culturale, paventa il pericolo della brama di potere che assale tutti coloro che non riescono a guardare all'altro e che si appellano a un tratto personale che si stautisce come superiore, descrive i rapporti sociali che tendono ad annullare le differenze fra le persone.
E' una storia che narra di una sconfitta, non ci sarà mediazione, non ci sarà convivenza.
Bellissima la prosa, le fulminanti descrizioni della bellezza del mondo, delle montagne, della luce, dei colori che sono lì, irrinunciabili, bellissima anche la resa della sensibilità altra dei ciechi.
Edited by LadyTriffide - 3/10/2009, 11:17