| E' come se non vivessi, se non sono con te
Ci vorrebbe una guerra, dicono gli anziani, che associano spesso alla guerra la loro gioventù. Anche mio nonno ripeteva sempre questa frase, ancora oggi mi sembra di sentirlo mentre, seduto davanti al caminetto, mi raccontava la sua giovinezza, la sua adolescenza vissuta in mezzo alla guerra. Questa potrebbe essere la sua storia, la storia di un uomo che, in mezzo alle brutture della guerra è riuscito a sopravvivere grazie all’amore, alla sua magia, alla sua forza. Henry è un giovane americano arruolatosi durante la prima guerra Mondiale nell’esercito italiano come autista d’autoambulanze. Egli non crede nella guerra ma l’accetta come un male che nessuno può evitare. Un giorno, il suo amico Rinaldi gli presenta una bellissima infermiera scozzese, Catherine… tra i due basta un semplice sguardo per innamorarsi perdutamente l’uno dell’altra. Il loro idillio però è destinato ad avere vita breve…Henry viene spedito al fronte insieme ai suoi amici. Il destino però sembra voler dare una mano ai due innamorati…il ragazzo viene ferito gravemente a un ginocchio e mandato in convalescenza a Milano dove ritrova la sua amata Catherine. Il loro legame si rinsalda, i due giovani vivono giorni bellissimi lontano dai fragori e dagli orrori della guerra; un caldo e pacifico amore s’impossessa dei due. Ben presto però giunge il fatidico giorno del ritorno al fronte , dove Henry svolge le sue mansioni di portantino fino alla rotta di Caporetto. Nel caos della fuga perde il contatto con i suoi e, arrivato a Pordenone, è arrestato con l’accusa di diserzione. Riesce a fuggire e ritorna a Milano da Catherine e i due decidono di comune accordo di fuggire per la Svizzera. Con una barchetta, prestata da un amico, Henry e la sua compagna, che attende un bambino, attraversano il lago e approdano, non senza difficoltà, in terra neutrale. E’ il definitivo “Addio alle armi”, alla stupidità della guerra. Si stabiliscono a Montreax dove trascorrono felicemente tutto l’inverno, conducendo vita ritirata, loro due soli e l’immenso amore che fa da collante alla relazione. E’ un dolce oblio, lentamente Henry scorda le nefandezze della guerra ed entra in una nuova e idilliaca dimensione da cui è bruscamente ridestato al momento del parto. Hemingway riteneva quest’opera la sua creazione più preziosa, la sua più felice espressione artistica. Tutto ciò forse è legato ai tristi eventi che hanno accompagnato l’intera fase creativa(il suicidio del padre, la difficile nascita del secondogenito, il problematico recente divorzio dalla prima moglie), tragici fatti che hanno minato il sensibile animo del poeta, suggerendogli così il triste e bellissimo epilogo, un triste rifiuto di redimere l’umanità dalla terribile vocazione distruttiva che lui stesso ha sperimentato sulla sua pelle. Nemmeno una nascita, frutto di un amore intenso, puro, dolce, come quello tra Catherine e Henry, può lenire la tragicità del vivere, Thanatos(la morte) sconfigge e annienta sempre Eros(l’amore, la vita). Un romanzo che è anche un monito contro la guerra e tutto ciò che è militarismo…il netto contrasto tra le descrizioni della vita al fronte, tra gli orrori disumani della guerra e la calma rappresentata dal breve scampolo di vita dei due innamorati, rende perfettamente l’immagine di due quadri in netto contrasto tra di loro, l’uno dipinto con tinte fosche, scure, a rappresentare l’inutilità e la stupidità della guerra, l’altro dipinto con toni chiari, accesi, a simboleggiare l’amore, la vita. Uno di quei libri crudi, terribilmente duri, che ti annientano come un pugno nello stomaco, che andrebbe letto e riletto mille volte nella vita, che ti lasciano dentro quel senso d’amarezza che nemmeno il tempo riesce a cancellare. Hemingway con questo libro ci ha lasciati un’immensa lezione di vita, che la forza dell’amore, quella forza che spesso ci trascina, ci sostiene, che diventa per noi l’unica ragione per continuare a vivere, nulla può contro un destino contro il quale è impossibile lottare. E allora, l’unica cosa da fare per noi essere umani è accettarlo, tristemente. E Hemingway ha accettato finché ha potuto, finché ce l’ha fatta.
Triste, immensamente triste, ma ogni parola, ogni riga, riempie come non mai.
Voto: 8.5
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