NEL PAESE DELLE CREATURE SELVAGGE - Spike Jonze, 2009
Max (interpretato dall'esordiente Max Records, perfetto per il ruolo) è un bambino solo e pieno di rabbia; desideroso di cure da parte della sorella maggiore, le fa pagare con piccole eppure tremende vendette la sua disattenzione. Legato da un rapporto complesso di bisogno e rifiuto alla madre, non riesce ad accettare l'idea di dover spartire il suo amore con il nuovo fidanzato; sarà grazie ad un viaggio avventuroso, più reale che d'immaginazione, dentro e fuori di sé, durante il quale verrà in contatto con questa misteriosa e feroce società asociale di "creature selvagge" (ognuna delle quali è una parte di lui o del suo mondo e delle persone che non solo lo popolano ma soprattutto lo governano), che Max imparerà, angosciato e inorridito dinnanzi alla sua stessa brutalità, a crescere.
Il film è costruito sulle inquietudini dell'infanzia, principalmente dovute alla sensazione di non riuscire a capire tutto ciò a cui si assiste perché, anche se i nomi delle cose nell'universo dei bambini e in quello degli adulti sono gli stessi, ciò che indicano è diverso; sull'improvvisa e violenta nudità in cui si trovano sempre, senza poterla analizzare ed esorcizzare, i bambini, almeno durante i loro primi anni di vita, mentre, ricordando l'intimità avvolgente del ventre materno, da un lato anelano tornarci e dall'altro avvertono un bisogno fisiologico di allontanamento da esso (esemplificativa e perfetta, a questo proposito una delle scene finali sull'isola delle creature selvagge, in cui il protagonista trova protezione dalla furia di una di esse, nel ventre di un'altra, cui chiede poi d'essere liberato perché l'amore può soffocare). Intorno e dentro a questo ruotano ancora leggere e impalpabili bellezze, gioie che durano poco e, nell'arco di un breve attimo, possono trasformarsi in pianto, cosa che tutti sapevamo quando eravamo bambini e che ora abbiamo dimenticato. Con delicata maestria Jonze muta in immagini tutto questo e lo fa sublimando, modellando la sua materia su una struttura che, se da un lato rinuncia alle parole, dall'altro è opulenta in fisicità (il dormire "tutti ammucchiati"), una fisicità bestiale, rabbiosa, di furiosa e selvaggia ribellione, una fisicità piena in sguardi, a tratti angosciati, a tratti altri deliziosamente meravigliati o ancora tristissimi.
"Nel paese delle creature selvagge", tratto dall'omonimo libro di Maurice Sendak, è un film al quale i rimaneggiamenti (si dice ci siano state pressioni sul regista affinché lo purificasse dall'eccessiva "oscurità") hanno tolto qualche sfumatura, appena un po' di forza o d'angoscia esplicita, senza, però, fiaccarne l'atmosfera. La tristezza vi aleggia sopra come uno stormo di uccelli neri; la rabbia e la violenza (condensate in una manciata di poche orribili scene) e l'inesprimibilità dei sentimenti (o sarebbe meglio dire delle sensazioni) scompaginano soltanto per un attimo la formazione geometrica di queste lacrime perfette, che tornano immediatamente compatte.
Il film è diluito, lento e pregno di una ricchezza di senso in ogni sua scena; le magnifiche scenografie (foreste, deserto e l'immensa superficie del mare), la malinconica colonna sonora con il suo pathos esplosivo, portano su questa pellicola la malinconia noiosa e senza oggetto dei lunghi pomeriggi estivi, facendola somigliare proprio ad un filmino delle vacanze, in cui il conseguimento della maturità (che muta nel bisogno di tornare a casa con ciò che questo comporta, soprattutto a livello di responsabilità) avviene in modo assolutamente epifanico; quasi che diventare grandi sia questione di un attimo, un momento in cui, all'improvviso, si impara ad abbattere a forza di soffi montagne che soltanto poco prima ci sembravano inerodibili.
Voto: 8
Edited by private eye - 28/7/2010, 09:40