Il nastro bianco (Austria, Francia, Germania)
Un film di Michael Haneke. Con Christian Friedel, Leonie Benesch, Ulrich Tukur, Ursina Lardi, Burghart Klaußner.
1913, in una cittadina di campagna nel nord della Germania, una serie di eventi sconvolgono la tranquilla vita della popolazione. Quando le indagini porteranno alla luce i responsabili di quegli atti di vandalismo, si scoprirà che gli ideatori sono dei bambini della scuola che avevano creato una sorta di società segreta forse influenzati dalle sempre più pressanti idee naziste...Mi è piaciuto, certamente la magniloquenza silenziosa e ritratta della fotografia domina l'intero film, e mi piace.
E' forse vero che è un po' il solito Haneke, però la sua rilettura dell'origine della violenza, senza trarne una soluzione, è decisamente affilata e precisa. Un mondo così ordinato, preciso, cadenzato da riti e gerarchie, che guida una umanità banalmente dedita alla sopraffazione e testimonia un periodo preciso di quella germania, ma svela molto delle dinamiche individuali e di gruppo. Perchè se in ogni casa, in ogni famiglia c'è una meccanismo di potere e di violenza, i bambini si muovono in gruppo, sono una massa silenziosa, la loro forza è anche nell'essere insieme, nell'essere molti, nel condividere quello schema che ripetono sui deboli, dividono la colpa, perdono la responsabilità, perdono l'imputabilità.
IL villaggio non si scuote mai dal suo torpore ordinato, come se riuscisse ad assorbire tutto, a tacitare ogni cosa, impermiabile.
E Haneke non ci fa mancare nulla, espone ogni forma di potere sui più deboli, da quelle derivanti dalla struttura sociale a quelle derivanti dalle istituzioni religiose e dalla famiglia patrircale nel rispetto del decoro e dell'occultamento nel privato, senza che nessuno si renda poi conto come quella stessa violenza esploda poi fuori incrociando i destini di tutti. E lo fa per reazione, rivolta contro quel mondo, replicandola in grande scala.
E non c'è in tutto il film un vero grande mostro, ci sono solo piccoli, servizievoli esecutori di un male molto quotidiano, appunto molto banale.
Sull'esistenza di Dio ritengo che Martin, che vive in un mondo in cui vi è un padre punitore che lo giudica, cerchi di capire dove sia l'ambito della sua libertà e mette alla prova Dio. Nello spazio aperto del suo silenzio si apre l'autonomia dell'azione di Martin e dell'uomo in generale. Ma all'interno del suo meccanismo che regola ciò che è giusto e ciò che non lo è, alla mancanza della punizione egli fa corrispondere la libertà nel commetterne il male e la giustezza nel farlo.
Curiosa la visione del meridione dell'europa, segnatamente l'italia, posto tratteggiato come aperto, tollerante, capace di rompere il meccanismo di refrattaria subalternità alle regole
VOTO 7,5Edited by LadyTriffide - 22/12/2009, 10:01