| Benché l'abbia riletto di recente, non lo ricordo nei minimi dettagli. Si tratta, comunque, come spiegato efficaciemente da tiresia, di una raccolta di dodici racconti, tutti ambientati in una splendida valle californiana (valle descritta con grande lirismo verso la fine del romanzo quando un gruppo di turisti, intenti ad ammirarla da un punto privilegiato, ha la possibilità di apprezzarne a pieno la stupefacente bellezza): la valle, però, è anche culla di una natura selvaggia ed ostile, ostacolatrice e, per alcuni versi, maligna. Già in questa raccolta, composta verso gli inizi della sua carriera, John colloca storie che, sospese tra poesia e speranza, sono destinate ad avere esiti tutt'altro che felici (la disillusione rappresenta il centro di molti suoi romanzi). Come sempre accade per le raccolte, vi sono racconti che ricordo bene (mi è rimasto patricolarmente impresso, ad esempio, quello in cui le protagoniste sono una madre ed una figlia: opprimente, patologico, si risolve in modo brusco e impenetrabilmente oscuro) e altri che ricordo meno bene. Tutto sommato, comunque, si tratta di un'opera organica ed equilibrata, con un solo fil rouge che attraversa tutte le storie e le rende parte di un'unità indissolubile, quasi si trattasse di un solo romanzo; per alcuni versi angosciante, per altri teneramente domestico, "I pascoli del cielo" è caratterizzato da un idealismo puro e da una spiritualità fiduciosa, aspetti che non si ritroveranno mai così forti in nessuna altra opera di John (se non, forse, ne "Al dio sconosciuto", con cui questa raccolta condivide la dimensione panica).
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