Tess dei d'Urberville - Thomas Hardy1891, Ed. RBA Fabbri, pag.527Tess è una giovane fanciulla della campagna inglese. Vive con i genitori, i fratellini e le sorelline, in una casetta immersa nel verde.
Tess è solare, ingenua, altruista, buona.
E molto bella.
Guarda il mondo attraverso i suoi grandi occhioni neri, e l’immagine che le viene restituita è fatta di fatiche e privazioni; il vento le smuove i lunghi capelli scuri, mentre lavora nei campi, dall’alba al tramonto, per poter sopravvivere.
Non sogna una vita diversa, immersa negli agi e nel lusso. Vive alla giornata, pregando che non manchi mai il pane per la sua famiglia.
Non desidero aggiungere molto di più sulla trama, il quadro che ho fatto rispecchia la vera Tess, quella che il lettore impara a conoscere ed amare fin dalle prime pagine.
L’idillio bucolico di cui ho parlato tuttavia, poco rispecchia l’inferno cui questa giovane donna sarà sottoposta.
Il destino avverso le si rivolterà contro ancora, e ancora.
Questo destino avverso lo si potrebbe chiamare Alec d’Urberville.
Thomas Hardy ha un gusto quasi manieristico nello scrivere. Il sapore di questo romanzo è vagamente vittoriano, ma impregnato di un pessimismo devastante. Il Fato, presenza quasi tangibile e dotata di volontà propria all’interno della vicenda, si muove inesorabile e colpisce indifferentemente chiunque si trovi davanti, anche una graziosa ragazza dal cuore puro come una sorgente.
La religione, quasi in contraddizione con quanto appena detto, è molto presente: ma non si sottovaluti che il Dio di cui si nutrono i protestanti, gli evangelisti, i santoni non è magnanimo e giusto; è soltanto un’icona, dietro cui si cela il destino immanente contro cui nulla è possibile. L’uomo è piccolo e insignificante, nel quadro della potenza soprannaturale della sorte. E nessun machiavellico argine può contenere questa piena.
La Natura è paradossalmente fonte di sostentamento e insieme causa di ogni male: la sofferenza combatte contro il primordiale istinto di sopravvivenza che garantisce l’umana, stoica sopportazione del dolore.
Eppure, in questo quadro ostile, crudele, che annienta ogni speranza di felicità, in questo grande spleen che è la vita, Hardy riesce a collocare, con una tenerezza descrittiva deliziosa, una creatura delicata, serena come Tess.
E quando la società la condanna, per colpe che non ha, viene fuori tutto il disprezzo dello scrittore nei confronti di pseudo puritani, finti moralisti, esseri abbietti formalmente candidi ma simbolo di etica decaduta. La denuncia sociale si sposa segretamente col disagio esistenziale, senza però congelare l’inventiva.
Lo stile di Hardy è ridondante, carico, i dialoghi sono pochi ed intensi, il resto è affidato al narratore, onnisciente, che stuzzica il lettore facendo riferimento ad avvenimenti futuri; il midollo della narrazione è rappresentato dalle descrizioni, accuratissime, realistiche, devote al dettaglio: vero è che in certe parti questo appesantisce il fluire degli avvenimenti.
Concludo quindi con una nota positiva: c’è chi potrebbe definire questo romanzo pessimistico, filosofico, austeniano, riflessivo, provvidenzialistico. Io lo definisco stupendo. Stupendo nel tradurre una storia semplice e umile in un’epopea tragica che mi ha ricordato la mitologia.
Tess è l’eroina di cui avrebbe potuto parlare Euripide, se fosse vissuto nel 1800.
Grazie infinite a chi mi ha regalato questo libro.
Voto: 8