FRANKENSTEIN, Il dio sbadato di Mary Shelley

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Artemisia.89
view post Posted on 18/4/2010, 10:31




Frankenstein, Mary Shelley




Frankenstein è il racconto di un incubo: se ci soffermiamo ad analizzare la compagnia di cui aveva goduto l’appena ventenne Mary Shelley (nata Mary Wollstonecraft Godwin) in quell’estate del 1817 vicino Ginevra, il tempo orribile che aveva scandito le loro giornate e come avessero deciso di impiegarlo non ci sarebbe da meravigliarsi poi così tanto sulla genesi del romanzo. Frankenstein è il racconto di un incubo della ragione. Quando Lord Byron, amante della sorellastra di Mary, Claire Clairmont propose, forse annoiato dalle storie di fantasmi che seguitavano a leggere per ingannare le ore al chiuso, una sorta di “sfida” letteraria che si proponeva l’obiettivo di comporre personalmente una ghost-story tutti iniziarono a scrivere – tutti, tranne Mary. L’ispirazione non arrivava e non arrivò per giorni, però, nel frattempo, Mary ascoltava: tra suo marito e George Byron le discussioni vertevano su un unico argomento e i sui corollari - la vita e la scienza, l’evoluzione, le scoperte di Luigi Galvani che un ventennio prima tramite l’elettricità aveva infuso una parvenza di vita negli arti di rane morte, introducendo l’arditissima possibilità di ingannare, in qualche modo, il tempo e Dio.
Da quelle dissertazioni al sogno che agitò la notte di Mary Shelley il passo fu molto, molto breve. Non sappiamo quello che al risveglio deve aver provato: possiamo supporre che per primo sia venuto lo smarrimento, che la luce del giorno abbia ferito i suoi occhi, che le mani siano scattate quasi istintivamente verso un ipotetico quaderno per poi fermarsi, per ricordare e sciogliere il groviglio di diverse gradazioni di terrore che doveva aver provato – tra queste, mi piace pensare, ci fu anche il senso di solitudine. Quando all’interno del romanzo impariamo a conoscere Viktor Frankenstein, una cosa ci colpisce soprattutto di lui: nonostante la famiglia a lui sempre vicina e pronta a sostenerlo in qualsiasi situazione, nonostante i due amatissimi fratelli e la presenza di una cugina adottata che riempie le sue giornate, nonostante tutto Viktor ci confessa che si sente solo; si lamenta della mancanza di un essere “simile a lui”, un compagno più intimamente a conoscenza della sua indole e consapevole delle sue aspirazioni di quanto lo potrebbe essere una possibile compagna. Viktor vuole un altro sé.
Se leggiamo il romanzo con l’ottica del “doppio” (il Doppelgänger della tradizione tedesca, il gemello maligno in cui non vogliamo ritrovarci) viene naturale accostarlo ai più famosi romanzi e racconti di Wilde, Dostoevskij, Conrad, Stevenson in cui però l’incontro con l’altro sé è sempre, in qualche modo accidentale o comunque inconscio, non palese (un mai esplicitato patto con il diavolo, un incontro fortuito, il salvataggio di un misterioso naufrago, una droga capace di mettere a tacere la freudiana censura) : la Shelley invece si sofferma moltissimo sulla creazione, o anzi sarebbe meglio dire sull’assemblaggio della creatura che deve il suo corpo ad una selezione certosina di braccia e gambe di diversi proprietari. Ma Frankenstein è stato un dio maldestro: nel dare la vita alla sua creatura, si è dimenticato di darle la bellezza o forse non l’ha giudicata necessaria e l’orrore che gli esseri umani provano alla sua vista è il filtro attraverso cui leggiamo il racconto di quel prodotto senza nome, disconosciuto da un padre che si è pentito immediatamente della sua azione e che condanna il suo mostro allo stesso male che aveva afflitto lui: per l’appunto, la solitudine di un essere unico al mondo, esempio irripetibile di un Adamo che non ha potere nemmeno sulle parole. E ancora, questa bellezza mancata che almeno in un primo momento non corrisponde ad una bruttezza dell’animo non può forse essere il campanello d’allarme più forte verso la certezza che Frankenstein e l’altro Frankenstein (la creatura senza nome finirà poi per avere il nome del suo creatore, proprio come se fossero la stessa entità) sono l’uno il riflesso dell’altro? Per quale altra ragione l’avrebbe altrimenti abbandonata? Così come Dio aveva fatto la sua creatura a sua "immagine e somiglianza”, quella di Viktor non era che un qualcosa di guasto, quell’abitante nascosto del continente sommerso che attraverso la scienza ha tentato, peccando di superbia, di imbrigliare e addomesticare: l’altro Frankenstein è la manifestazione corporea di tutti quei contenuti inconsci che provengono dal suo creatore; è un complesso di paure, inibizioni, desideri repressi che vertono tutti sul terrore di un’esistenza senza compagni e affetti. E a questo la sua creatura condannerà il suo sbadato, colpevole ed ingenuo creatore: una vita in cui ogni giorno si assiste ad una perdita finché altro non resta che l’ossessione della colpa.



Edited by Artemisia.89 - 18/4/2010, 15:09
 
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view post Posted on 19/4/2010, 16:06
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Lascia ch'io pianga, mia cruda sorte, e che sospiri la libertà
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Recensione meravigliosa, i miei complimenti.

E’ stato uno dei primi libri che mi è stato regalato in pre-adolescenza, quando il mio amore per i romanzi gotici già era ben noto a tutti.
Victor Frankestien ha dato la vita a una creatura, come qualsiasi altro essere umano, ma purtroppo non l'ha rivestita di grazia, condannandola così a una vita di emarginazione e solitudine.
Perché ha fatto tutto ciò? Una creatura chiede di essere messa al mondo? Con quale diritto un essere umano, con tutti suoi difetti e le sue debolezze, può innalzarsi al ruolo di Dio?
Sono alcuni dei tanti interrogativi che mi sono posta dopo la sua lettura.
Non sono mai riuscita a dare una risposta a queste mie domande, né sono mai riuscita a dare una vera interpretazione a questo romanzo.
Un libro dalle mille sfaccettature, ai mille significati, che ognuno può cogliere e interpretare secondo la sua personalità, il suo modo di vivere e di pensare.
Una parabola dell’uomo, che vuole innalzarsi a creatore, che vuole sostituire un’entità divina e che viene punito nel modo peggiore, con la rivolta del suo essere imperfetto, che da lui chiedeva soltanto amore e affetto, come qualsiasi figlio al proprio padre.
Quella creatura, quell’essere così orribile, ripugnante, non è diversa da noi che ci reputiamo esseri “normali”, come noi cerca comprensione, cerca accettazione in un mondo che non lo vuole, che lo rifiuta senza una ragione valida, solo perché ha un aspetto diverso dal nostro.
Cerca qualcosa che lui non potrà mai suscitare negli altri, l’affetto, l’amore, l’amicizia.
E’ il destino di chiunque si senta non all’altezza degli altri, di chiunque soffra di una profonda mancanza di autostima, che lo porta, a volte, anche a farsi del male.
È quell'essere orribile il mostro o colui che l’ha creato senza assumersi le responsabilità del suo gesto?
È legittimo per un uomo dare la vita a un altro essere, pentirsene e scappare?
I temi che questo romanzo porta avanti sono molteplici e l'autrice non ci da una risposta, lascia a noi lo spazio per riflettere, per domandarci perché ancora oggi certi aspetti come la diversità ci terrorizzino a morte.
E non sanno quanto male fa il sentirsi rifiutati…
 
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Artemisia.89
view post Posted on 19/4/2010, 17:51




Sono completamente con te per quanto riguarda la grandissima complessità di questo libro: io me ne sono accorta solo a lettura ultimata quando forse, ormai, era già troppo tardi. Frankenstein è un racconto attualissimo - un "classico" vero che sa porre (e rispondere alle) domande ad ogni generazione: sul dare la vita e negarla, sul ruolo dell'uomo verso i propri figli, sul progresso, sull'etica messa ogni giorno a dura prova... ed è il racconto, come hai detto tu, di chi si vede rifiutato per una colpa non sua.
 
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2 replies since 18/4/2010, 10:23   229 views
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