Sogno di una notte di mezza estatedi William ShakespeareQuesto è il sogno di William Shakespeare. Per entrarvi, è necessario spogliarsi di ogni sovrastruttura letteraria e abbandonarsi alla magia e alle passioni umane, ma attenzione: tali passioni perdono tutto il loro carico malinconico per ricomporsi in un ordine di leggera, frivola casualità.
L’intreccio sarà noto per sommi capi ai più.
E’ una notte fatata quella di San Giovanni, il teatro è il bosco. La storia si regge su una serie di amori estemporanei e contrastati. Un padre cortigiano che desidera scegliere il marito di sua figlia; il giovane Demetrio, che ama Ermia, la quale complotta invece una fuga con l’adorato Lisandro; Elena, che si strugge d’amore per Demetrio, non corrisposta; il sovrano d’Atene, Teseo, che intende convolare a nozze con la sua Ippolita, in un giorno di pace e serenità per tutti.
Ma questa non è una notte normale. A corredo di un plot più intricato di una telenovelas messicana, c’è l’incanto di un macheniano piccolo popolo che, alle porte del bosco, interverrà nelle faccende degli esseri umani, per sconvolgerle.
Puck, simpatica rivisitazione di Eros, è uno spiritello dispettoso e pasticcione al servizio di Oberon, il Re del bosco, una specie di Zeus d’elfica fattura; grazie ad un potente succo magico che si versa sugli occhi degli addormentati facendoli innamorare perdutamente della prima persona che vedono al loro risveglio, Puck si rende colpevole di una serie di autentici disastri che stravolgono l’ordine naturale dei rapporti: Lisandro e Demetrio si contendono Elena, Ermia piange abbandonata, persino Titania, la bellissima impalpabile regina delle fate, si innamora suo malgrado di una testa d’asino. E’ necessario dunque porre rimedio ai danni; Puck si adopera strenuamente per ristabilire gli amori più veri e sinceri, liberi da incantesimi e dettati da autentico affetto reciproco.
Shakespeare è il più grande poeta inglese di tutti i tempi, nonché uno dei massimi drammaturghi. Nato nel 1564 a Stratford-upon-Avon, non sappiamo molto della sua prima giovinezza; ma certamente a trent’anni era già impegnato a Londra in un’intensa attività teatrale. L’età d’oro della regina Elisabetta era al suo culmine, e attorno alle corti della capitale gravitavano una miriade di artisti, poeti, attori o aspiranti tali, a rendere allegre e intellettualmente vivaci le serate di una città in espansione. In questi anni, le platee londinesi godettero di rappresentazioni di altissimo livello (basti pensare alle produzioni di artisti come Marlowe, Webster), e trovarono spazio in un fermento culturale senza precedenti anche le opere di Shakespeare: le famose “chronicle plays”, i drammi storici come L”Enrico IV” o il “Riccardo III” che ancora oggi godono di fama e rispetto; le grandi tragedie, capolavori come l’”Amleto, “Macbeth”, “Re Lear”, “Otello”; e le commedie. Ora, è chiaro che sui drammi di questo autore si potrebbe disquisire appassionatamente per ore, tuttavia credo sia doveroso non rinchiudere, come spesso erroneamente si fa, il suo genio nel binomio stretto e riduttivo di Shakespeare=tragedia. Non si può dimenticare la dolcezza, l’ironia, la leggerezza apparente, l’utopica deliziosa libertà al piacere che colora le commedie.
“Sogno di una notte di mezza estate” è un gioiello di straordinaria purezza. L’autore conduce la commedia su tre piani, con un abilità non comune: il piano\cornice di Teseo, sovrano di un mitico e ipotetico principato ateniese, ricco di richiami mitologici, il quale desidera sposare la regina delle Amazzoni. Il piano della sua Londra, quella di fine ‘500, una metropoli in costruzione, fatta di artigiani rozzi, chiassosi, analfabeti ma aspiranti attori, personaggi rubati dai bassifondi e scaraventati su un palco elegante, ma fresco e sincero come la vita, portatori di una cultura fai da te che davvero spicca in contrasto con elementi raffinati e favolistici (si pensi a Bottom, mordace, chiacchierone, disgraziato, ma terribilmente efficace nel suo ruolo). E poi il piano della notte fatata, una calda serata popolata di spiriti e spiritelli, fate e folletti, creature della Natura che emergono da un’affascinante, mistico retroterra nordico, quello delle saghe, delle leggende.
L’elemento di fondo, chiaro e forte più che in ogni dramma, è proprio la ricerca della libertà, l’anelito all’evasione, alla fuga da ogni preconcetto; una libertà che forse era ricercata dallo stesso autore, che per una volta si svincola dal dolore, dalla tragicità, dalla precarietà umana, per lasciar correre il suo estro verso nuovi lidi, verso incantesimi, ignoto, impossibile. Getta nello scompiglio le relazioni amorose, per dimostrare come i nostri sentimenti siano labili, incostanti. Sentirsi in balia del caso, cercare l’equilibrio tra illusione e realtà, essere spaesati di fronte a quello che ci presenta il destino: non è forse la condizione di tutti i noi? Meno onirica e più concreta di quanto non possa apparire ad una lettura distratta. Certo, è tutto pur sempre un gioco, un divertissement letterario, un inconsapevole e irresponsabile arrendersi a emozioni primordiali; d’altro canto la fantasia più assurda, tormentata, è quella più bella, e l’eleganza con cui Shakespeare ci conduce in questa dimensione è fuga dalla vita e dalla letteratura. Ho avuto come l’impressione che si sia divertito a scrivere quest’opera, che ci abbia messo tutto il suo brio, la sua sagacia, la sua inventiva, più che in ogni altra creazione.
E d’altronde non sarà un caso se, a poche generazioni dal suo produrre, il pubblico ha iniziato a godere della fantascienza: prospettive molto diverse, certo, ma l’impossibile che si fa possibile è comune denominatore, un impulso affascinante e irresistibile per (quasi) tutti.
E Shakespeare l’aveva capito..
"Finito è lo spettacolo e l’incanto.
Ora, o Signori, addio; ma siate umani:
salutate col batter delle mani
questa nostra fatica e il dio del canto."Voto: 9