"
SAYONARA, GANGSTERS" di
Geni'chiro TakahashiRomanzo Pop, 1982, BUR, pagine 374
I Gangsters hanno ucciso sette presidenti in un solo anno; nessuno sembra riuscire a fermarli. Nel frattempo i nomi propri alle persone non sono sempre dati dai genitori, ma una volta adulti vengono acquisiti chiedendoli ad un’altra persona, la quale donando il nome, concede anche il proprio amore. E’ in questo modo che “Sayonara, Gangsters”, ovvero il protagonista narrante, ottiene il proprio nome da Nakajima Miyuki Song Book, ex gangster, nonché padroncina di un simpatico gatto, Enrico IV. “Sayonara, Gangsters” ci informa che tempo addietro aveva lavorato in fabbrica, alla catena di montaggio; in quel periodo aveva una donna che le diede anche una figlia, Cumino; ma “il municipio è sempre al corrente della data precisa in cui ognuno morirà e invia una cartolina per informarci quando quel giorno verrà”. Poi il nostro eroe ci parlerà della Scuola di Poesia in cui attualmente insegna, della ragazza del cimitero, degli invincibili Gangsters, che però hanno un punto debole..
Non so da dove iniziare, come dare un’idea generale di questo volume?Provo presentandolo così: m’ha dato l’impressione d’essere un grande frullatore da cui si sia ottenuta una strana, il termine più calzante sarebbe “weird”, macedonia. Quest’ultima infatti non è composta da sola frutta, ma contiene anche carne, verdura, pasta e legumi.
Una costellazione di personaggi bizzarri dai nomi spesso improbabili che fanno cose senza senso popola le pagine; non v’è una trama lineare, né precisa, è un cumulo d’eventi, ricordi sparpagliati del narratore. Sembra di assistere ad un telegiornale con svariate notizie debolmente saldate l’una all’altra. Tutto è molto surreale, anzi di più, ipersurreale, “Sayonara, Gangsters” ha a che fare con alieni, frigoriferi parlanti, gangsters buffi e spietati ma niente lo turba, imperterrito vive normalmente. La bellezza (?) del romanzo sta nella freschezza, nella brillantezza dello scritto, nella marea di citazioni e dei personaggi nominati: si va da Katherine Ross ad Aristotele, passando per Eschilo, Dostoevskij, Dalì, Willy il Coyote, p.Verchovenskij, Babe Ruth e i Lynyrd Skynyrd. Il tutto m’è parso un grande maelstrom sperimentale: il linguaggio e i personaggi dei manga, il mondo delle canzoni, cenni autobiografici, fatti di cronaca, strofe di poesie, tutto trasportato sulla pagina scritta; in più sono presenti neretti, sequenze di lettere senza significato, disegni veri e propri, citazioni incorniciate da riquadri. Tutto questo è pop? Siamo nel campo della metanarrativa? L’autore di certo ha voluto mostrarci il suo amore per la letteratura contemporanea americana, per gli anni Sessanta, per il cinema, per la musica classica e rock e per la poesia giapponese. Lui e i due Murakami, ho letto, rappresentano la novità nella letteratura giapponese, la riportano in linea con quel senso di “contemporaneità” ch’era andato perduto. Tornando al romanzo devo aggiungere che dallo splendido incipit sino alla fine del primo capitolo si mantiene piacevolissimo, divertente, insolito, leggero, con buonissime trovate; arrivati alla Scuola di Poesia, cade, diviene pesante, quasi incomprensibile, i personaggi che si avvicendano nella scuola sono sempre più improbabili e non divertenti, la parte coi frigoriferi è noiosissima. Migliora nella terza parte, dove si fa cupo con sorriso, il finale m’è piaciuto pochissimo. Curioso, divertente, folle, indescrivibile, dolce, ineffabile, incatalogabile, colto somigliante ad un arlecchino varipinto; peccato che seppur caratteristica io non abbia mai amato questa maschera.
VOTO 6
© Tutti i diritti riservati (26feb-5mar2010)