Somewhere (USA 2010)
Un film di Sofia Coppola. Con Stephen Dorff, Elle Fanning, Chris Pontius, Karissa Shannon, Kristina Shannon
A me la Coppola piace e mi è piaciuto anche Maria Antonietta. Mi piace come pensa il cinema, non ovvio, che sa aspettare (qui 4 giri di ferrari in pista solo come inizio e camera fissa, ovviamente), che sa parlare con le sole inquadrature (fra tutte inqudratura stretta su babbo e figlia in piscina a prendere il sole, cinepresa che si allontana includendo il mondo).
Ma questo è Lost in Traslantion 2, ecco il problema. Le varianti sono minime, qui è la genitorialità, lì l'amore, qui forse l'autobiografismo è più smaccato, ma poco importa. Personaggio principale in bilico, sicuramente perso, un individuo, qui la figlia, gli esacerba la crisi e lo aiuta, il mondo va con le sue regole, la macchina dello spettacolo non si può fermare, ma noi forse sì. Meno disillusione, più speranza.
Bella la scena del make up, ma proprio lui coperto dalla biacca, con il solo respiro: fa tanto laureato, fa tanto Kubrick, ma, ecco, qui non c'è soggettiva, qui anche l'ultimo senso, la vista, non c'è, lui può solo respirare.
Il film della Coppola è un puro film da cinefili, non è un capolavoro, ma è valido.
Delle famose scene in Italia a me sembra che si siano state sottolineate quelle sbagliate: la cerimonia dei telegatti, l’albergo etc sono probabilmente frutto di ricordi personali (la cerimonia dei telegatti è ancora così, la nostra televisione è così, vuoto pneumatico, cosce all’aria e lo pseudo comico giullaresco). Ma la scena davvero rivelatrice a me sembra un’altra: la mattina dopo in albergo la Chiatti che cerca di parlare alla bambina. Ecco, lì non solo c’è tutta l’accusa della figlia al padre e all’emerita sconosciuta (la Elle è brava con gli sguardi e i bronci), ma la Chiatti intavola una discussione illuminante: ce l’hai il fidanzato? Lei in quanto donna vede le donne, anche le bambine, come proiezione di una coppia, sempre, indiscutibilmente, appendici di un uomo; con quel discorso traccia un futuro per la ragazzina, ne disegna il ruolo predefinito; con quelle parole infrange il limite dell’infanzia, come se fosse necessario accorciare il tempo dell’indefinito che è tipico di quell’età e abitarlo con le logiche, cretine, dell’età adulta.
Edited by LadyTriffide - 20/9/2010, 15:55