UN'ESTATE PERICOLOSA, E.Hemingway

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view post Posted on 26/10/2010, 00:29
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Sapiente Malizioso
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"Un'estate pericolosa" di Ernest Hemingway
Romanzo, 1959, Mondadori, pagine 288

Come quando si è perennemente in viaggio ogni tanto si sente il bisogno di rientrare in un porto sicuro, per me, in mezzo a tanti volumi contemporanei e moderni, la certezza è rappresentata da Hemingway. Nel ricordo dello splendido “Fiesta” ho deciso di intraprendere nuovamente un viaggio in Spagna al seguito degli eroici toreri. Se in “Fiesta” la figura del matador era modellata sull’immagine di Cayetano '”Niño de la Palma” Ordonez, qui v’è la contrapposizione, la sfida di un’estate, tra Antonio Ordonez (il più grande matador che Hemingway vide all’opera) e Luis Miguel, entrambi suoi amici. Nato come reportage giornalistico per la rivista “Life” il libro prende in esame la favolosa “temporada” del 1959, stagione che permetterà ad Hemingway di ritornare, dopo tanti anni, a spostarsi sul territorio dell’amatissima Spagna. In primo piano c’è la storia dell’amicizia tra Ernest ed Antonio legata alla volontà dello scrittore di far sapere al mondo intero “il posto che Antonio occupava nella storia delle corride”. Sullo sfondo è sempre presente la magica Spagna: polverosa, assolata, ventosa, rigogliosa, con le sue querce, le vigne, le fattorie di pietre, i campi di ginesre, le frastagliate colline montuose, le strade ripide e tortuose, il buon cibo e l’ottimo vino. La meticolosa descrizione delle corride è fantastica, in molti passaggi si raggiungono vette di assoluta epicità (ad Aranjuez Antonio dice al fratello: “E tu saresti un Ordonez?”), in talune esibizioni di questa moderna tauromachia non si può far a meno di parteggiare per le sorti del matador nell’arena. Il duello tra Antonio e Miguel è puro lirismo: coraggio e purezza d’animo permeano le gesta dei nostri eroi ed Hemingway, pur stimando Miguel, prende a parteggiare per Antonio verso cui nutre una sconsiderata ammirazione. Sia nelle azioni compiute in quella stagione che nelle considerazioni fatte nel reportage lo scrittore esalta il matador. La critica vi ha ravvisato evidente faziosità poiché in quegli scontri non è vero, a differenza di quanto vide ed affermò Hemingway, che vi fu una netta affermazione di Antonio, ma si ebbe un sostanziale pareggio. Il romanzo è intriso di nostalgia per il passato, ma risulta avvincente, appassionato e vivace, la semplice e limpida scrittura culla il lettore avvolgendolo inesorabilmente: non gli da tregua, lo fa sorridere, rattristare, riflettere. Scritto con amore nei momenti precedenti la morte certifica una volta di più l’importanza di alcune tematiche care allo scrittore: amicizia, Spagna e corride. In certi punti è prolisso, ho veramente faticato ad intendere di cosa si stesse parlando e non solo nei tratti cosparsi da tecnicismi riguardanti le battaglie coi tori. Il fatto è che Hemingway era già sofferente di gravi crisi, i mancamenti di memoria eran frequenti, il suo mal di vivere era già accentuatissimo (era convinto di aver scritto una schifezza, un anno dopo aver terminato il romanzo/reportage si suicidò) quindi è ampiamente scusato. Al termine del volume è presente un utilissimo glossario completo di tutti i termini tecnici usati per descrivere le corride. Non so se potrebbe piacere a tutti, io sono chiaramente di parte, però trascendendo le speculazioni animaliste sulla bruttura delle corride si può aver l’occasione di leggere un romanzo entusiasmante ancorchè imperfetto. Hemingway magistrale.

VOTO 7,5

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view post Posted on 26/10/2010, 18:41
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Lascia ch'io pianga, mia cruda sorte, e che sospiri la libertà
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Il testamento di Ernest

Hemingway è stato il mio padre spirituale.
Ho cominciato a leggerlo a quindici anni, in piena crisi esistenziale e da allora non ho più smesso, il nostro è stato un amore che è si è intensificato ogni giorno di più.
Difficile dire quanto questo scrittore mi abbia dato, difficile dire quanto mi abbia aiutato nei momenti più duri della mia esistenza...mi ha insegnato a non aver paura della verità, ma a volte nella vita è davvero difficile, mi ha insegnato ad avere il coraggio di guardare le cose in faccia, anche le più terribili, ma questo è ancora più difficile, spesso preferiamo rifugiarci nel nostro mondo, preferiamo scappare dai problemi, non affrontarli, perchè è più comodo e soprattutto meno doloroso per noi.
Tra tutti i suoi romanzi, i primi che consiglio agli altri di leggere sono "Per chi suona la campana" e questo splendido romanzo, che ha segnato una parte importante della mia vita.
Questo è un romanzo scritto da un vigoroso sessantenne, il quale aveva ragione di temere che la propria morte fosse imminente.
E’ il suo romanzo, il suo testamento, un affettuoso e nostalgico resoconto del suo ritorno ai tempi spensierati della giovinezza, quando era solito frequentare le arene spagnole dalle quali apprendeva il significato della vita e della morte.
Era il 1959 quando la prestigiosa rivista americana “Life” gli commissionò un articolo sulle corride.
Per Ernest fu un vero e proprio salto nel passato…fece ritorno in Spagna, nei mitici luoghi della sua giovinezza e di quest’esperienza così indimenticabile per lui ora a noi rimane solo questo bellissimo saggio.
In quei lungi e intensi mesi si trovò al centro di una delle più travolgenti avventure della sua vita: due giovani matadores di una bellezza e di un carisma ineguagliabili stavano epr cimentarsi in un tragico duello che li avrebbe condotti in tutte le più celebri arene.
I matadores in questione si chiamavano Luis Miguel Dominguin e Antonio Ordonez.
Fu un’estate gloriosa, e quanto mai pericolosa, l’ultima grande stagione vissuta da Ernest, che seguì i due toreri di tappa in tappa, sulle strade polversoe, nei lunghi trasferimenti notturni, tra pranzi, caraffe di vino di Malaga e interminabili corse sulle spiagge.
Quell’estate, così indimenticabile per lui, è tutta qui, racchiusa in questo libro, un libro che è il resoconto di tutto ciò che di brutale, di eccitante e di meraviglioso accade in Spagna, durante una temporada.
A quanti di voi(e siete in molti, lo so) protesteranno per il fatto che Hemingway abbia dedicato tanta attenzione a un’usanza cos’ brutale come la corrida, posso solo dire che questa è assai meno barbara della boxe o di qualsiasi altro “intrattenimento” violento e la morte di un uomo nell’arena è molto più rara di quella di un uomo sul ring.
Si, la corrida ha certi aspetti brutali, non lo nego, ma lo stesso si può dire per la chirurgia, o per la caccia, o per altri milioni di orrori che ci appaiono dinanzi ai nostri occhi o percepiamo con le nostre orecchie non appena accendiamo il televisore o accendiamo la radio.
E’ veramente difficile per me scrivere una recensione su questo libro, non immaginate quanta difficoltà stia incontrando nel cercare le parole adatte per esprimervi quelel che sono le miei emozioni e le mie sensazioni in questo preciso momento.
Una sola cosa posso dirvi: per me, che venero Hemingway, questo libro è qualcosa di meraviglioso, di paradisiaco, quasi…in ogni sua pagina, in ogni sua parola leggo il confuso commiato di una figura grande e leggendaria.
In queste pagine percepisco nei suoi occhi la nostalgia con cui ritorna in quei boschi canori vicino a Roncisvalle, mi balzano agli occhi i molteplici aspetti del suo carattere, la sua ossessione per la morte, la sua enorme generosità, la sua immensa solitudine.
Ci sono molti brani che presentano affettuosi ritrattini dello scrittore e di quel grandioso uomo che Papa fu.
E’ un romanzo che rappresenta un pò tutto ciò che è stata la sua vita, la sua intera esistenza: l'amore per la sua compagna, l'avventura, l’amicizia, valore per cui nutriva un profondo rispetto e la sua Spagna, che lui tanto amava.
La sua sensibilità trova il culmine in questo suo romanzo, imbevuto di quel male di vivere che lo porterà, di lì a poco, alla morte.
Era un uomo profondamente sensibile Hemingway e solo, terribilmente solo, un uomo che nella sua vita ha cercato sempre di dire la verità e quando la depressione non gli ha lasciato più lo spazio per scrivere, ha preferito prendere il suo fucile e porre fine alla sua vita perchè, piuttosto che raccontare balle, ha preferito tacere.
Era un grandissimo scrittore, ma prima di tutto un grandissimo uomo e mi dispiace che in molti non l’abbiano mai capito, che si siano fermati solo a giudicare dietro le apparenze e le ideologie, tralasciando ciò che di buono ci ha lasciato questo immenso scrittore.
Grazie Papa, il mio unico rimpianto è stato quello di non aver avuto la possibilità di conoscerti, di guardarti negli occhi, di stringere la tua mano e dirti che lì, accanto a te, c’è una persona che condivide, in parte, la tua stessa solitudine.

Voto: 8
 
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