MORTE NEL POMERIGGIO Ernest Hemingway1932La morte resa bellaInsieme a Fiesta, “Morte nel pomeriggio” fu il libro, tra i suoi, che Hemingway amò di più.
Può sembrare inverosimile perché è uno dei suoi meno conosciuti e in parte anche meno amati dato il tema trattato, le corride, che tra il pubblico moderno non riscuote particolari simpatie.
Ma in realtà Morte nel pomeriggio è qualcosa di diverso, di molto diverso, bisogna avere la voglia di leggere anche oltre il racconto più immediato, di andare a scavare tra le parole più nascoste per scoprire il vero Hemingway, e forse ne vale la pena.
Puo' la morte diventare un’eroina, una droga, un rito d’iniziazione?
L'uomo che ne “Il vecchio e il mare” lotta contro la natura e' lo stesso che scende nell' arena contro il diavolo nero.
Il toro è la sfida, una vittima sacrificale ma anche in grado in un solo battito di ciglia di divenire un carnefice, Morte nel pomeriggio è uno dei più bei libri che parla di corride, lo fa con conoscenza approfondita, ma lo fa soprattutto con amore e rispetto.
Si parla di novillada, si racconta il sorteggio dei tori, dell’arena, del calendario delle corride, dei tre atti della corrida, delle razze dei tori, dei passaggi delle cappe, dell’azione delle picche, delle banderillas e delle muletas e poi il torero con il toro.
Ma dietro a queste minuziose e particolari descrizioni è nascosto qualcosa di ben più profondo, è celata la paura ancestrale dell’uomo nei confronti della morte, l’uomo che, come ne ““Il vecchio e il mare” lotta contro la natura e' lo stesso che scende nell' arena contro il diavolo nero e il toro e' la sfida, una vittima sacrificale ma anche in grado in un solo battito di ciglia di divenire un carnefice se noi sottovalutiamo la sua forza.
Ma soprattutto questo saggio è un modo per conoscere il vero Hemingway, la sua vita, il suo essere più profondo.
Le corride sono solo un mezzo per raccontarsi, in fondo per parlare di se, non dello scrittore Hemingway, ma dell’uomo.
La corrida per lui rappresentava un atto eroico, uno scontro tra uomo e toro.
A lui non interessava la coreografia, avrebbe detestato quelle moderne, per lui la corrida aveva ancora un sapore antico, era il confronto dell’uomo con il toro, era il confronto dell’uomo con la morte.
Per lui era una tragedia, non uno sport.
Si era appassionato alle corride per poter assistere, per poter capire fino in fondo che cosa sia in realtà la morte, che cosa si provi realmente in quegli ultimi istanti, il suo insostenibile timore nei confronti della morte che lo portò a sfidarla più volte, il suo non capirla, la sua paura che arrivasse così improvvisa e inaspettata.
In questo momento mi sovvengono alla mente due suoi romanzi “Le Nevi del Kilimanjaro” e “Il vecchio e il mare”, due dei suoi scritti meglio riusciti ed è la morte, il timore, il rispetto nei suoi confronti la loro vera protagonista.
Era sempre solito dire: “cercavo di imparare a scrivere incominciando dalle cose più semplici, e una delle cose più semplici e fondamentali è la morte violenta…”.…questo cercava Hemingway nelle corride, quell’attimo, quella sensazione della morte.
Ne aveva bisogno per riuscire a scrivere di gente viva, non di personaggi, ma della cosa vera, la vita, come lui soleva definirla.
il seguito di movimenti e di fatti che ha prodotto l’emozione e che sarebbe altrettanto valida dopo un anno o dopo dieci anni o, se si ha fortuna e la si fissa con purezza, per sempre”. Era questo per Hemingway la corrida, un attimo necessario per capire, per capirsi.
Voto: 7