"LA TERRA DELL’ETERNA NOTTE" di
William Hope HodgsonRomanzo, 1912, Fanucci Editore, pagine 386
In un possibile futuro il sole è scomparso e la notte eterna avvolge tutto quanto, solo una gigantesca piramide (la Grande Ridotta) riluce nell’oscurità grazie alla potente Corrente Tellurica. Nella piramide vivono milioni di umani, gli ultimi presenti sulla Terra; all’esterno solo un coacervo di forze malefiche: la Casa del Silenzio, i Mostri, la Via Dove Camminano i Silenti, i Cani della Notte, i Guardiani. Un giovane eroe partirà per una missione impossibile attraverso territori inospitali, troverà quel che cerca?
Dopo lungo cercare mi procuro finalmente l’agognato tomo; infatti Hodgson, ingiustamente misconosciuto, è tra i miei prediletti scrittori del brivido (autore di uno dei miei romanzi preferiti e del racconto più bello che abbia mai letto) e questo lungo romanzo, di difficile reperibilità, rappresenta il suo tentativo più audace: niente più case stregate o minacciose superfici acquatiche, ma lande desolate ed inesplorate accompagnate da mostruose entità appartenenti ad un infinitamente lontano futuro.Tanto grande era l’aspettativa che gigantesca è risultata la delusione: il pretesto del libro (che non rivelerò per non inficiare l’eventuale lettura di altri) è goffo e risibile, lo svolgimento della storia non m’ha convinto né appassionato, i momenti di azione non sono di minimo interesse né spaventano. Si accumulano pagine e pagine in cui il protagonista si dilunga, inspiegabilmente, in elucubrazioni sul come raggiungere il posto x, su leggende antiche, sulle proprie tribolazioni interiori, sul valore dell’amore. Il ragazzino protagonista, novello Ulisse, è insulsamente narciso, Hodgson lo rende troppo invincibile (quindi antipatico): ha però un timore insensato, come del resto gli abitanti della Piramide, per i “Guardiani” che altro non sono se non normalissime montagne magnetiche. Le descrizioni dei vari paesaggi, anche se spesso ripetitive, sono rese bene e si ha sempre la sensazione che vi sia qualcosa di orrorifico che incombe nell’ombra; peccato che 300 pagine di prolissità rendano stancante la lettura. Ma l’aspetto peggiore è un altro: s’inserisce ad un certo punto una vena di sentimentalismo riprorevole, tutte le pagine ne vengono cosparse; il romanzo viene irrimediabilmente “infettato” dall’amore, diventa finto e melenso, il suo valore ne è compromesso. Assicuro che chiunque, dopo aver letto almeno 50 volte l’espressione “e la baciò”, perderebbe la pazienza. Se è vero quel che affermava G.Moore, cioè che emozionare serve per avere successo, allora questo libro avrebbe dovuto esser un best seller, cosa che evidentemente non è stata. Il romanzo è inefficace a dispetto degli sprazzi amoros: la potenza suggestiva, la fantasia orrorifica e l’idea di base potevan portare a sbocchi clamorosi che purtroppo sono stati disattesi. Diafano e stentato, il libro che non c’è.. (purtroppo)
VOTO 4
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