LA NAUSEA, Jean-Paul Sartre

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Baba1989
view post Posted on 22/12/2010, 17:20




La Nausea - Jean-Paul Sartre (1938)


<<caro Sartre, Gaston Gallimard propone per il tuo libro un titolo che trovo eccellente: La Nausée..>>
(lettera dell'editore Brice-Parain a J. P. Sartre, 12 ottobre 1937)

La Nausée è senz'altro l'opera più celebre e amata di Sartre; lo stesso maître à penser la considerava una tappa fondamentale del suo percorso intellettuale, il momento in cui riuscì a sprigionare la perfezione della verità, il midollo dell'esistenzialismo, la decomposizione dell'universo borghese, attraverso una prosa sciolta, come una sorta di confessione dell'anima di Antonio Roquentin, ma forse anche dello stesso Sartre.
Per comprendere la genesi di quest'opera, dobbiamo tener presente due dati fondamentali: in primis gli anni in cui viene scritta, all'alba della Seconda guerra mondiale, la rendono un grido di protesta e ribellione contro la follia dell'uomo e della sua volontà stupidamente darwiniana di prevalere come più forte; e poi il retroterra filosofico su cui poggia stabile la formazione di Sartre, un'evoluzione dell'esistenzialismo heideggeriano unita alle problematiche della coscienza già affrontate da maestri come Hegel o Husserl, e che trovavano terreno fertile per crescere nella Parigi o nella Berlino degli anni Trenta.
Partendo dall'assunto cartesiano del "cogito ergo sum", Sartre opera un primo decisivo rovesciamento, individuando nella coscienza non la cosa in sè, bensì la negazione della cosa; la coscienza derealizza il mondo, restituendoci un'immagine libera da ogni spessore oggettivo, proiettata verso il futuro, protesa verso le reali, inutili situazioni che gli uomini vivono ogni giorno. A questo proposito si noti che l'opera ci viene presentata sotto forma di diario, per esaltare l'intimità, la sincerità dei pensieri che ascoltiamo; già nell'esordio, il protagonista\antieroe\succube Roquentin afferma di voler annotare gli avvenimenti giorno per giorno perchè è l'unico modo per cogliere ogni sfumatura del proprio quotidiano, ogni piccolezza: i giorni passano senza che la nostra coscienza riesca mai ad offrirci un senso di questi, e per tale motivo dobbiamo descriverli, cristallizzarli, ingabbiarli nella carta: chi tiene un diario tende inevitabilmente ad ingigantire le proprie esperienze, a ritenere singolari e degni di nota anche fatti che non lo sono. E' un ottimo metodo di sopravvivenza.
A ben guardare infatti, ogni uomo è libero e solo, e in quanto tale esperisce la condizione del nulla, quotidianamente; l'uomo vuole cercare qualcosa oltre l'oggettivo trascorrere del nemico tempo, ma rimane imprigionato nella noia, e quando finalmente arriva alla conclusione che la vita è solo un flusso inarrestabile di inevitabili esperienze sensa senso, viene colto da quello spaesante, enorme senso di vertigine che è la Nausea, condizione primordiale e sempiterna, seppur talvolta ignorata o celata.
Roquentin rappresenta questo uomo qualunque, sradicato, lacerato, perso tra l'illusione di avere uno scopo nella vita o quantomeno di potersi dedicare all'incessante ricerca di un senso, e la sempre più vivida consapevolezza della nullificazione.
L'angoscia sartriana travalica il tedium vitae senechiano per approdare ad un rinnovato spleen esistenziale, alla luce del suo superamento di Heidegger.
Per il filosofo tedesco il Nulla è ciò che rivela l'essere negli enti, mentre il Nulla di Sartre è l'essere per sè, la coscienza come negazione, come luogo dove non esistono oggettività.
La città di Bouville, il parco, sono contenitori che divorano l'uomo e soffocano ogni suo possibile slancio empirico; Roquentin arriva a sperimentare la Natura osservando quelle radici, le mostruose radici, che crescono orribili, scure, contorte, escono dal terreno e succhiano la linfa, la vita dell'albero, l'albero che non sa perchè esiste, ma esiste e si muove col vento, per contingenza.
Già nel 1928, nelle sue prolusioni, Martin Heidegger si era posto il problema del Niente; l'esperienza del niente ci è data dall'angoscia, la situazione affettiva fondamentale, che non è paura: si ha sempre paura di qualcosa, mentre l'angoscia è paura del nulla.
Chi è angosciato, e qui a mio avviso riconosciamo i tratti del nostro Roquentin, sente sprofondare nell'insignificanza tutto il suo mondo, come se annegasse in acque torbide; e come dileguare l'angoscia, visto che ci è impossibile identificare ed eliminare l'ente che ci incute timore?
Quando un essere avverte questa condizione, non vede più nel mondo una casa, e non percepisce più la banale ripetizione del quotidiano come una coperta rassicurante che protegge dalla solitudine, permettendo l'auto-identificazione di sè come "ente fra gli enti"; vede invece la propria esperienza come un solipsismo, una trascendenza.
Quando Roquentin si siede al Caffè, la scena è emblematica: accanto a lui c'è un gruppo di uomini che gioca a carte. E' evidente che essi non abbiano mai apprezzato tale trascendenza. Quelle carte, pezzi di plastica che scivolano sul tavolo, sono semplicemente inutili, inermi, tanto quanto sono goffe, fiacche, polverose, le mani che le raccolgono, grattando il tappeto con le unghie. Eppure, questi uomini lo fanno per riempire il tempo, perchè non capiscono che il tempo è troppo vasto, non si lascia riempire. Il tempo ci condanna.
Allo stesso modo, siamo condannati a vederci nella stessa misura in cui ci vedono gli altri. Perciò chi è solo perde l'immagine di sè stesso. Ho trovato pregnante il passo dello specchio, in cui Roquentin si avvicina ad uno specchio fino a toccarlo, e non riconosce il suo viso, non sa giudicare quell'insieme di segni, cavità, escrescenze, colori, quell'ammasso di carne bianca e molle; non capisce perchè sia lì, non gli sa dare dei contorni, e questo perchè è solo, egli non appare a nessuno e di conseguenza non appare nemmeno allo specchio. E' sfocato.
Questo passaggio mi ha ricordato Kafka e il suo inetto, la ricerca di un senso di appartenenza alla società, di un rapporto umano, la reazione alla solitudine e all'isolamento attraverso la bestializzazione, l'emergere di uno stato larvale, animale, guardato con sdegno e ripugnanza da chi allo specchio riesce a vedere il proprio volto come una maschera con cui apparire agli altri, e non come un ovale ributtante.
L'esserci, cioè l'uomo, cerca di fuggire dinnanzi a sè stesso, dinnanzi all'insoddisfazione di sè (sibi displicere, ancora Seneca), ma così facendo scade lontano dall'esserci: l'angoscia va a riprendere l'esserci dalla sua immedesimazione scadente col mondo. L'angoscia è coraggio, perchè non è paura inautentica o dissimulata. I borghesi di Bouville dicono di aver paura dell'amore, della violenza, del tempo, delle malattie, della povertà; tutti hanno in bocca l'amaro della guerra, come nei romanzi di Hemingway, dove si respira lo stesso senso di smarrimento e incertezza che affligge la generazione a cavallo fra le due guerre. E' finita l'era del Positivismo, della fiducia nella scienza e nelle capacità dell'uomo, si accentuano i fenomeni di disgregazione e di perdita dell'unità, il senso di spaesamento e il bisogno di inquadrare la propria esistenza in una gerarchia, una società compatta, con una missione da compiere, con dei nemici da combattere, con un capo carismatico da seguire, con una rinnovata consapevolezza di appartenere a qualcosa. E' il sostrato culturale in cui germogliano i nazionalismi, ideologie e strutture socio-politiche che Sartre combatterà, lui che fu un marxista convinto.
Dagli anni '20 emergono l'eclettismo, le avanguardie, l'espressione dell'inconscio, dell'istinto, dell'irrazionale, un globale rifiuto delle stesse convenzioni borghesi che troviamo a Bouville; i vari Breton, Picasso, Stravinskij, Kafka, Mann, Joice, Brecht, Musil, Gropius, Sartre, sono il punto di rottura con l'universo borghese, la reazione ai radicalismi, l'esigenza di rinnovamento, in un panorama culturale sporcato dai razzismi di matrice positivista e dai miti del volk.
Questi borghesi, che temono la non-normalità, non guardano mai, sprezzanti, alla semplice e pura impossibilità dell'esserci, cosa che invece fa Roquentin, nella sua esperienza che pare quasi precorritrice della morte. In Sartre la disperazione si schiude, superando lo stadio in cui l'aveva circoscritta Kierkegaard, in cui l'angoscia lottava con la Fede, per giungere poi all'esistenza autentica, cioè quella disponibile all'amore di Dio. Ne La Nausea non c'è nessun Dio, l'uomo non riesce a essere Dio, la vita è gratuita, l'esistenza assoluta, la natura brutale, la coscienza spiazzante, la società pseudo-umanitaria, e quel serpente di legno, al Parco, è l'Assurdità. La trasparenza del boccale di birra umido, la melodia che esce dal grammofono, il colore, ci passano rapidamente sotto il naso "come lepri stanate", ma non ci curiamo mai di congelarle per un attimo, interrogarle, per capire che sono assurde, astratte, induttive, superflue.
I gesti e gli avvenimenti che ci circondano sono assurdi, semplicemente non ci appaiono tali perchè li rapportiamo al nostro piccolo mondo: sono come i discorsi di un pazzo, che non appaiono mai assurdi in rapporto al suo delirio. Eppure tutto quello che ci resta da fare è trascinare le membra, che siano di carne o di legno, come fa Roquentin, come fa il pastore nichilista, che mostra a Zarathustra il serpente, e gli rivela la verità dell'eterno ritorno, cioè il terrore del divenire.
Il Tempo sembra fermarsi, per Roquentin, solo quando va al Museo: i dipinti raffigurano tutte le persone più importanti di Bouville, vissute tra il 1875 e il 1910. Quelle persone hanno fatto cose buone, hanno fatto il loro dovere, e poichè il diritto non è che un'altra faccia del dovere, hanno acquisito il diritto di esistere, e si sono convinte d'avere il diritto di esistere, diritto che Roquentin non sentirà mai di possedere. Anche l'intenzione di Roquentin di scrivere un libro su un'altra persona, il Marchese di Rollebon, è un tantativo molto umano di avere il dominio su quel personaggio e pensare di poter trasmettere almeno a lui il diritto di esistere, come un pittore. Ma così non va, poichè Roquentin è diverso, lui sente la Nausea, la Nausea si sprigiona dolciastra fra le sue mani e lo costringe ad abbandonare la penna, a subire impotente la morte di Rollebon. Un attimo prima era lì, e ora è morto, e tutte le parole già scritte Roquentin non le riconosce più, nemmeno ricorda d'averle mai pensate. E come a suggellare questo lutto, arriva il sangue di Roquentin, che si taglia volontariamente una mano col temperino, solo per avere l'impressione di essere vivo, lui, di poter apportare un cambiamento, ed effettivamente quel rosso vivo che imbratta il foglio è un cambiamento.
Ma non è la vita a cambiare, in Sartre sono le persone a cambiare: Annie è cambiata, e ogni ricordo non basta più a riportarla com'era una volta, perchè i ricordi si sbiadiscono fino a scomparire. E persino l'Autodidatta, che sembrava la fissità impersonificata, così meccanico nelle sue visite alla biblioteca, nel suo leggere i volumi in ordine alfabetico, proprio lui offre un cambiamento inaspettato, e quindi terrificante; questo perchè non ci accorgiamo mai dei nostri cambiamenti, ci sembra di essere sempre noi stessi, teniamo conto solo dei cambiamenti altrui, che ci spaventano terribilmente, ci destabilizzano. Così l'Autodidatta che poggia la sua mano su quella di un giovane studente, accarezzandola, rappresenta un cambiamento radicale nella scena sempre uguale della sala da lettura della biblioteca, un evento osceno che scatena l'ira dei presenti.

Il libro si conclude con la partenza di Roquentin. Nessuna fine e nessun inizio tuttavia, solo altre persone, altri caffè, altri treni. Tutto comincia per finire, ma non acquista significato se non con la morte.
Solo un'ultima idea lo attraversa. Scrivere un altro libro, un libro diverso, che parli di qualcosa che non può esistere, per porsi al di sopra dell'esistenza, e far sì che chi leggerà quel libro, penserà all'autore come ad una persona interessante, circondata da un'aura semileggendaria, e sarebbe un'acquisizione importante per Roquentin, visto che riusciamo a giudicare e accettare solo il passato, ma mai il presente.

Negli ultimi tempi si sente spesso abusare dell'espressione "fa riflettere", quindi non la userò; dirò soltanto che, quando ho finito questo libro, ho provato un senso di disagio, ed una profonda tristezza.

"Ogni esistente nasce senza ragione,
si protrae per debolezza,
e muore per combinazione."


Voto: 9

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infinito cielo
view post Posted on 22/12/2010, 20:37




Bellissima recensione :)
E' un libro da leggere assolutamente per appropriarsene e poi distaccarsene,secondo me.Quando lo lessi mi colpi molto perchè esprimeva certe mie riflessioni sul tempo,sulla solitudine,sul rapporto con gli altri.Ma devo dire che poi le esperienze di vita,il mio carattere,e la mia energia interiore mi hanno portato al superamento di quel movimento,l'esistenzialismo,proprio appunto grazie ai libri della compagna di Sartre,Simone de Beauvoir e soprattutto grazie a Camus,grande sodale di Sartre nei primi tempi e poi distaccatosi dalle sue idee per il profondo pessimismo che le permeava.
 
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view post Posted on 22/12/2010, 23:02
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Sapiente Malizioso
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Ma è lo stesso libro che lessi io anni fa? Forse mi ero perso qualcosa :P :P
Chi ha scritto questo commento? Non è che tu sei la reincarnazione di Sartre? Molti concetti mi sfuggono (io e la filosofia non andiamo d'accordo) però mi pare evidentissimo quanto bene questa recensione sia scritta con grande competenza e passione! :D
 
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maxmagnus
view post Posted on 24/12/2010, 12:36




Ottimo romanzo filosofico, dove Sartre dimostra anche un grande talento letterario come pochi filosofi (Platone su tutti, Voltaire, ecc..)
La trama è lacerata dalla meditazione filosofica.
La letteratura diviene in Sartre uno strumento per esprimere il pensiero, il quale si sublima nel momento in cui traduce in arte una tesi o un pensiero.

Da leggere e meditare.
 
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Baba1989
view post Posted on 27/12/2010, 13:40




Grazie per aver letto la recensione :) :)

CITAZIONE (LordDunsany @ 22/12/2010, 23:02) 
Ma è lo stesso libro che lessi io anni fa? Forse mi ero perso qualcosa :P :P
Chi ha scritto questo commento? Non è che tu sei la reincarnazione di Sartre? Molti concetti mi sfuggono (io e la filosofia non andiamo d'accordo) però mi pare evidentissimo quanto bene questa recensione sia scritta con grande competenza e passione! :D

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Ti sottovaluti! :P
Comunque grazie :D
 
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4 replies since 22/12/2010, 17:20   695 views
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