"Il profumo della signora in nero" (1974, ITA) di
Francesco Barilli Mimsy Farmer (Silvia), Maurizio Bonuglia (Roberto), Mario Scaccia (Rossetti), Orazio Orlando (Nicola), Donna Jordan (Francesca), Lara Wendel (accreditata come Daniela Barnes: bimba), Renata Zamengo (Marta)SPOILERSilvia Hacherman, giovane ed eterea direttrice di un laboratorio chimico, ha un trauma infantile non risolto: morto il padre in mare, perde la madre Marta (non è ben chiaro nel film se uccisa da lei o m’è parso di capire, suicidatasi per colpa sua) in giovanissima età. Ora è fidanzata con Roberto, collezionista di farfalle, che una sera la porta in casa di amici comuni, qui un professore di sociologia di colore, Andy, parla scherzosamente di alcune superstizioni legate all’Africa, nella quale si celebrerebbero ancora strani rituali, superstizioni, magia nera e sacrifici umani con alcune sette che scelgono vittime inconsapevoli che sono portate alla follia ed alla morte (“
Occorre tempo e pazienza per entrare nella mente di un uomo”). Da quel giorno Silvia comincerà ad esser colta da strane situazioni ed inquietanti visioni e, stranamente, per chi guarda la pellicola, i personaggi sembran tutti esser “complici” in qualcosa di “strano”: il premuroso vicino di casa, l’anziano signor Rossetti, la signora Cardini, il solerte portinaio Luigi e poi Nicola, antico amante della madre, punteggiano con le loro apparizioni i vari avvenimenti. Silvia rompe la foto della madre e la porta a far aggiustare in un negozio nella quale però non la ritroverà più; c’è poi un vaso che Silvia vede in un negozio che gliene ricorda uno che possedeva da piccola, ma quando va per comprarlo trova una perplessa commessa che le dice di non aver mai messo in vendita un articolo simile; c’è una partita di tennis in cui Silvia si punge “assaporata” da Andy; un incontro di Silvia allo zoo con Rossetti (appassionato di ippopotami); compare poi il vaso tanto agognato sottoforma di regalo; c’è una strana seduta spiritica con una veggente cieca; c’è poi l’inquietante apparizione di una bambina che occupa la casa di Silvia la quale scappando spaventata trova Rossetti che entra in casa a controllare con lei; accadono un paio di inquietanti apparizioni della donna vestita in nero (la madre di Silvia) intenta a profumarsi; la sua grande amica Francesca cerca di “rompere gli schemi” ma finisce morta nella propria vasca da bagno; poi ritorna la bambina che le porta in dono il gatto nero (Chopin), morto, della signora Cardini; Silvia lo porta a far imbalsamare e ritrova dopo anni Nicola; scappa allora spaventata e torna nella sua casa d’infanzia ormai abbandonata, Nicola la raggiunge e tenta di stuprarla, Silvia lo colpisce con un mattone uccidendolo (?). Informato Roberto dell’accaduto i due vanno a controllare ma non trovano nulla. Tornata a casa, spronata dalla bambina, Silvia si prepara per un fantomatico giorno di festa: uccide con una mannaia sia Rossetti che Roberto e li mette seduti, insieme al cadavere di Nicola attorno ad un tavolo, simulando la cena del thè di ”Alice nel paese delle meraviglie”, infine sale sul tetto del suo palazzo alla ricerca della bambina, la quale appare mentre Silvia è sul parapetto del palazzo, la bimba l’abbraccia spingedola di sotto insieme a lei. Nell’inquietante scena finale assistiamo ad una specie di rituale occulto: in un oscuro sotterraneo un grosso gruppo di persone comprendente tutti i personaggi del film (da Roberto, alla venditrice del negozio, da Rossetti ad Andy) è schierato in piedi attorno ad un altare in pietra sul quale è posizionato il corpo nudo di Silvia (coperto solo da un telo), corpo del quale tutti, in un macabro silenzio, si ciberanno.
Questo film si immette nel pregiato, e poco battuto, filone del thriller psicologico: sono presenti elementi metafisici, onirici, surreali, una dimensione allucinata, dove viene meno la prospettiva della realtà; mi vengono in mente “
La corta notte delle bambole di vetro” di Lado, “
Un sussurro nel buio” di Aliprandi e volendo parte di certo cinema fulciano (“
Sette note in nero”). C’è subito da chiarire che questo film nel modo di costruzione dell’intreccio, nell’ambientazione e nella trasmissione del senso di oppressione deve moltissimo a “
L’inquilino del terzo piano” e a “
Rosemary’s baby” e sempre a Polanski deve il meccanismo di discesa nella pazzia da parte della protagonista (“
Repulsion”), tant’è vero che Mimsy Farmer, esteticamente molto simile a Mia Farrow, e la sua, a mio parere buona, interpretazione, attinge molto da quella delle attrici dei due film citati prima (C. Deneuve per “
Repulsion”). C’è un però ed è rappresentato dal fatto che Barilli (alla sua opera prima) dimostra di saper declinare secondo il suo gusto la vicenda: aiutato dalle buonissime musiche di Nicola Piovani, dall’inquietante e goticheggiante ambientazione (il palazzo si trova nel quartiere Coppedè in piazza Mincio 2 a Roma), dalle sue capacità tecniche di gran livello, da un ottimo lavoro per la fotografia (splendida, m’ha ricordato quella di “
Inferno”) e grande stile nella la messa in scena degli interni dirige con mano sicura. Il ritmo non eccelso aiuta a rendere partecipe il pubblico alle sorti della fragile protagonista; ho provato in certi tratti un senso di disagio, leggera angoscia (che secondo me sono gli elementi che mancano a “
L’inquilino del terzo piano”), questo significa che il regista ha fatto centro; senza metter in mostra grandi spaventi o clamorose scene cruente, ma solo col potere della suggestione, riuscendo a comunicare quel senso di oppressione in cui la protagonista man mano cade. Chi guardasse oggi questa pellicola capirebbe lontano un miglio che i vicini, specie Rossetti, hanno qualcosa che non va e probabilmente sarebbero annoiati dalle poche o direi nulle, scene adrenaliniche. Nella sceneggiatura c’è qualcosa che non va (era tutto immaginato da Silvia?): i contorni tra reale e immaginario risultano confusi; Silvia uccide Nicola, Roberto e Rossetti e poi va a gettarsi dal palazzo, salvo poi ritrovarli tutti e tre nella favolosa scena finale. La bionda bambina di bianco pizzo vestita “doppio” di Silvia che “costringe” le azioni nel finale confonde ancora di più le idee; benché portando alla morte Silvia chiuda il cerchio del suo trauma infantile. Bambina che non è altro che un omaggio (?) a quella di baviana memoria (“
Operazione paura”), ripresa poi anche da Fellini nel bel “
Toby Dammit”. La donna in nero che si spruzza il profumo è Marta, la madre di Silvia, che vediamo perseguitare la figlia in un paio di apparizioni. Cosa dire della scena finale? Ne ho visti di horror italici e non, ma questa è tra le più potenti: elegante e spaventosa nel suo assordante silenzio; sembra quasi voler far notare che non esistono amici o affetti, chi è debole nella società di ieri come in quella di oggi, non ha scampo, non può che esser “divorato” da ciò che lo circonda..
Per me un piccolo capolavoro!
VOTO 7.5
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