MILLION DOLLAR BABY (USA 2008) di Clint Eastwood con Clint Eastwood, Morgan Freeman, Hilary Swank.
Clint Eastwood si sta rivelando sempre più una sorpresa per me.
Un westerner segaligno, introverso, laconico, con una sola espressione stampata sul viso(come soleva dire anche il buon caro Sergio Leone), capace di interpretare sempre e solo lo stesso ruolo, quello del duro senza macchia e senza paura, ma quest’attore così musone e freddo si è trasformato con il tempo in uno dei registi più capaci e ammirevoli della storia del cinema.
Million Dollar Baby è senza alcun dubbio il suo capolavoro assoluto, un titolo che poteva suscitare critiche e timori, ma lui è riuscito a spazzarle via come un fiume in piena.
Ispirato ai racconti di Toole, il film vede come protagonista Maggie Fitzgerald, una giovane donna di trentadue anni che irrompe come un ciclone nella vita dell’anziano allenatore di pugilato Frankie Dunn, un uomo solo, introverso, ma con un forte senso di solidarietà radicato dentro di sé.
L’energia vitale della giovane donna, che vuole a tutti i costi diventare un puglie affermato nonostante la sua già “avanzata” età, lo pervade, lo travolge, lo contagia fino a far nascere un indissolubile sodalizio sportivo(e non solo) tra i due(Frankie in lei rivede la figlia, quella figlia tanto amata ma che ormai non vede più da anni).
L’unione tra i due darà risultati insperati, Maggie combatterà con onore, arriverà a vincere parecchi incontri, guadagnerà un mucchio di soldi per sé e per la sua ingrata famiglia, ma il destino fatale e dietro l’angolo, una scorrettezza da parte di una sua avversaria la costringerà all’immobilità permanente, con conseguente caduta dei suoi sogni.
Una storia nella quale cadere nel melodrammatico è fin troppo facile, ma il regista Clint riesce abilmente a non cadere nel tranello, raccontandoci una storia sì drammatica, ma soffermandosi soprattutto sui sentimenti, sulla paura, sul coraggio, descrivendoli con una grazia e una delicatezza da grande cineasta.
La spietatezza di quel cowboy duro e quasi misantropo si trasforma in un affettuosa e malinconica figura paterna che si risveglia al contatto con quella ragazza così sola e così provata dai dolori che la vita le ha ingiustamente donato.
E a questi temi si aggiunge quello più difficile da trattare, l’eutanasia, che Eastwood affronta in modo pregevole e ammirevole, senza cadere nell’inutile patetismo e nella banalità.
Alla fine si piange, ci si commuove, ma soprattutto si riflette molto sulla crudeltà dell’esistenza, che sembra sempre colpire le stesse persone, la generosità e l’amore ritrovato.
Bravissima Hilary Swank, che dai tempi di Beverly Hills 902010 di strada ne ha fatta parecchia, eccellente Morgan Freeman ma soprattutto straordinario Clint Eastwood, che ha saputo raccontare una storia dai temi così difficili con un tatto e una delicatezza davvero inusuali.
Voto: 8