"17 Ragazze" ("17 filles", 2011, FRA) di
Delphine e Muriel Coulin
Louise Grinberg (Camille), Esther Garrel (Flavie), Solène Rigot (Mathilde), Juliette Darche (Julia), Roxane Duran (Florence), Yara Pilartz (Clémentine)
Prendendo spunto da un fatto realmente accaduto negli USA nel 2008 le sorelle Coulin spostano l’azione in una cittadina costiera francese, Lorient. Camille, adolescente sfrontata e presuntuosa, resta casualmente incinta: il suo gruppetto di amiche (tutte tra i 16 e i 17 anni) prima, diverse altre compagne di scuola poi, sono influenzate dalle sue parole e dai suoi modi di fare, perciò si faranno appositamente mettere incinte proponendo una sorta di rivoluzione etico - morale. Nella scuola è scandalo, ben 17 ragazzine sono in dolce attesa e nessuno riesce a capirne il motivo. Tra una chiacchierata e l’altra, passando per alcool, fumo e feste, giungeremo ad un epilogo per nulla sorprendente.
L’attuale cinema francese mi pare specializzato nelle “piccole storie” ed ogni volta sono raccontate con garbo e delicatezza; non fanno eccezione le sorelle Coulin, qui alla loro opera prima. La pellicola ritrae, in maniera quasi documentaristica (infatti c’è una sensazione di grande realismo), una generazione, quella degli adolescenti, la quale è speranzosa nel futuro, vogliosa di vivere e disprezza i genitori per la vita monotona e predeterminata che trascorrono preparando lo stesso scenario per i figli che si sentono, o meglio, risultano vuoti, con pochi interessi; credono solo nell’amore per se stessi. Da questo punto focale, passando attraverso la loro incoscienza e voglia di cambiare le cose, parte l’azione: le ragazze, condizionate da Camille , senza alcuna consapevolezza dell’importanza del gesto e delle conseguenze, decidono di rimanere incinte, credendo, attraverso la maternità, di iniziare un cammino di emancipazione, di estraniamento dalla vita “stereotipata” dei genitori, di ricerca della propria libertà personale. Le ragazze rimproverano agli adulti le poche attenzioni avute e si ripropongono, scioccamente e senza comprendere, di donare ai nascituri l’affetto che credono di non aver ricevuto. Una scena m’ha colpito particolarmente: quella in cui Camille attende la madre che, una volta rientrata, si scusa per esser arrivata tardi; ne nasce una breve discussione durante la quale la madre afferma che lavorare in ospedale, pure di notte, non è un piacere per lei, ma lo fa per il bene della famiglia. Camille, immatura ed ottusa, si alza e si chiude nella sua camera. Evidenti l’incomunicabilità tra due mondi che faticano a dialogare e l’incapacità della figlia di apprezzare e comprendere che lei dovrà far la stessa cosa per il figlio/a che tiene in grembo una volta che sarà nato/a. Le Coulin si avvalgono di una confezione formalmente apprezzabile: risalta una certa eleganza e pulizia delle inquadrature che alternano estatici campi lunghi (alla maniera di certo cinema d’autore asiatico) a primi piani, passando per inquadrature sfocate che ben rappresentano il tumulto, lo spaesamento, l’insicurezza ed angoscia degli adolescenti in contrasto con la, quasi, totale assenza degli adulti i quali, sia fisicamente che moralmente sono presenze impalpabili.
Le Coulin si limitano a narrare la vicenda, si pongono super partes, non giudicano il gesto delle ragazze né mi pare vogliano dare risposte e questo m’è sembrato il pregio ma anche il difetto più grande della pellicola. Ribellione, ricerca della consapevolezza di se, vanno benissimo, ma è il “metodo” con cui viene attuato il progetto che è sbagliato (mi domando: è in grado di capirlo un pubblico giovane?). Le Coulin mostrano delle ragazzine piene di sogni e prive di un adeguato senso della realtà che credono che fare figli sia una cosa divertente. Il film si chiude con una voce fuoricampo che ammonisce gli ascoltatori dicendo che non si può impedire a una ragazza di sognare.
SPOILERPerò Camille, l’ispiratrice di questi sogni, è, paradossalmente, l’unica a non partorire e la sua sparizione, forse, suona come pentimento, voglia di ricominciare in modo diverso e più maturo. L’ho trovato un discreto film – documento (alla Van Sant), ben girato e raccontato, però la maternità non è uno scherzo e una reprimenda di un qualche tipo da parte delle autrici ci sarebbe stata benissimo.
VOTO 6,5
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