DAGON - La mutazione del male, Stuart Gordon

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ilgiornodeglizombi
view post Posted on 19/5/2013, 19:37




"Dagon - La mutazione del male" ("H.P. Lovecraft's Dagon", "Dagon, la secta del mar", 2001, SPA) di Stuart Gordon
Ezra Godden (Paul Marsh), Raquel Meroño (Barbara), Macarena Gómez (Uxía Cambarro), Francisco Rabal (Ezequiel), Brendan Price (Howard), Birgit Bofarull (Vicki), Joan Minguell (Xavier Cambarro), Ferran Lahoz (Sacerdote)

Dagon-Poster2

"There will be no time, no end, no today, no yesterday, no tomorrow – only the forever and forever, and forever without end. It is your fate. It is your destiny”

Stuart Gordon, Brian Yuzna, la Fantastic Factory e H.P. Lovecraft. Non dite che non vi vengono i lucciconi agli occhi e non sospirate come se foste dei bambini col naso schiacciato sulla vetrina di un negozio di giocattoli. Oggi recensirò un film che è pura serie B, a budget ridottissimo, con effetti speciali in CGI che davvero per la carità facciamo finta non li abbiano mai realizzati (per fortuna sono pochi), attori mediocri e anche qualche bel buchetto in sceneggiatura che non guasta mai. Il punto è che la Fantastic Factory ha una missione. E che "Dagon" è il compimento perfetto di quella missione. Nasce nel 2000, come una costola della Filmax di Julio Fernàndez, il principale responsabile del rilancio del cinema di genere spagnolo nell’ultimo decennio, insomma, una cosina così, senza pretese. Yuzna, dopo essere emigrato in Europa, la fonda per produrre horror con costo massimo di 10 milioni di dollari (quando proprio hanno da scialare), dando spazio sia a giovani registi (l’esordio di J.Balaguerò è roba sua) che a nomi un po’ più blasonati ma ormai in declino (ed ecco Gordon e Sholder, oltre lo stesso Yuzna che si diverte con il suo "Faust"). I prodotti si girano in inglese, ma in location e con maestranze rigorosamente spagnole. Una vera e propria factory, appunto, alla Roger Corman, ma in un’epoca che per questo tipo di produzioni non è più adatta. Scelta marginale, quella di Yuzna, come sempre marginale è stato il suo cinema, anche ai tempi d’oro della nuova carne e della borghesia gommosa e mutante.
Il coraggio di rinnegare l’horror americano e di rinchiudersi nella nicchia europea, per dedicarsi alla sua idea, magari per qualcuno superata, di fantastico. Yuzna è così, lo si ama per questo. E Gordon è il suo compagno di set e di bevute. Era inevitabile, quindi, che i due collaborassero nella nuova dimensione della Fantastic Factory, e che Gordon tornasse al suo amato Lovecraft. Il titolo, "Dagon", è ingannevole, perché in realtà gran parte della sceneggiatura proviene da un altro racconto, "La maschera di Innsmouth", scritto nel 1931 e pubblicato nel ’36. Da Innsmouth si passa nella cittadina della costa spagnola Imboca, dove il giovane Paul e Barbara, la sua ragazza, vanno a cercare soccorsi dopo che una tempesta ha mandato la barca a vela su cui viaggiavano con due amici contro gli scogli. L’altra coppia sparisce, Paul e Barbara vengono separati e inizia un incubo fatto di strane mutazioni, di sacrifici umani ai Deep Ones, di corpi deformi e mutilati dal prolungato contatto con la divinità maligna Dagon, che risiede negli abissi e pretende i suoi tributi per aver donato, anni e anni prima, ricchezza e oro alla comunità di Imboca.

"Dagon" è un film parte malissimo. Una pseudotempesta che più finta non si può scaraventa un modellino brutto brutto di barca a vela contro scogli in computer grafica. Il mare è calmo in alcune inquadrature, e gonfiato con onde inserite in post produzione in altre. E la tentazione di assimilare l’opera di Gordon a una delle perle indimenticabili della Asylum e affini, è forte. Ma bisogna avere la pazienza di aspettare che il regista archivi la pratica naufragio, utile solo per portare i suoi personaggi in paese. E lì che "Dagon" comincia davvero, in un cupo borgo che pare disabitato e in cui ogni tanto si intravedono figure curve e zoppicanti che si affacciano dai vicoli bagnati dalla pioggia. Lo abbiamo detto milioni di volte: Lovecraft, al cinema, è quasi irriproducibile. Eppure Gordon ci riesce, sempre, anche con soli quattro milioni di dollari, e senza mostrare mai nulla, se non quando è proprio costretto. Perché Gordon conosce Lovecraft, Gordon ama e studia Lovecraft e ne ha assimilato, nel corso della carriera, atmosfera e contenuti, per poi riversarli in personalissime trasposizioni che magari tradiscono l’estetica dello scrittore, ma ne rispettano in profondità lo spirito e le ambizioni.

Che poi è forse l’unico modo per avvicinare un’opera così complessa come quella di Lovecraft. A meno che non si adotti una soluzione che è solo di vaga ispirazione, alla Carpenter, o alla Fulci, tanto per fare un paio di esempi. Quando però, sin dal titolo che è "H. P. Lovecraft’s Dagon", il riferimento è così diretto e spudorato, ci vuole una cura estrema, soprattutto se si sceglie di stravolgere epoca e ambientazione. Se in "Re-Animator", Gordon aveva trasformato il racconto originale in una beffarda commedia splatter, e in "From Beyond" aveva portato alla luce una serie di perversioni e visioni di natura quasi pornografica, ecco che in "Dagon" il regista compie il miracolo di una perfetta ricostruzione di un luogo che è Altro dal mondo civile, Altro dall’ umanità stessa. Una città sfigurata (come i suoi abitanti) da una totale simbiosi con Male che vive negli abissi. Una corruzione così profonda, così irreversibile, che non c’è salvezza per gli esseri umani capitati lì per caso (o forse per destino), una malattia che in un modo o nell’altro ti assimila e ti cambia.

E quindi "Dagon" è un film speciale, un film da conservare con affetto e nostalgia. Un B movie anni ’80 precipitato in mezzo a noi grazie alla forza volontà di Yuzna e Gordon, che a quel tipo di cinema non vogliono e non possono rinunciare. Gli elementi ci sono tutti: un’ironia a cui non siamo più abituati, un gusto per il macabro, per il grottesco, per il lato più folle e anarchico della paura, personaggi sopra le righe, dal protagonista inetto, al vecchio ubriacone (Francisco Rabal, morto poco dopo le riprese), e una malinconia quasi poetica che pervade il tutto. Gordon, come Yuzna e quel piccolo gruppo di registi di serie B che ancora riescono a girare qualche film, dimostra un’empatia autentica per i suoi mutanti e per le loro vittime. Cinema che diventa rifugio impossibile per la propria poetica del reietto e del mostro. Un mostro che neanche ti puoi permettere di far vedere, perché costa troppo, ma che respiri in ogni inquadratura, sempre presente, sempre in agguato, a ogni angolo umido e lercio della città maledetta.

La scena in cui Paul si nasconde in una casa allagata, e viene scoperto prima da un bambino e poi da suo padre, che è un incrocio tra un polipo e un uomo-pesce, ti fa venir voglia di correre da Gordon e abbracciarlo, perché si vede lo sforzo di incanalare un immaginario che è un vulcano in eruzione in una povertà di mezzi commovente. E l’operazione riesce. La scena è potentissima, montata in maniera tale da non essere obbligati a mostrare l’ibrido nella sua interezza, e girata come se fossimo noi, nel buio di un bagno gocciolante e umido, ad essere afferrati e trascinati con la testa sott’acqua da un’entità malevola. E quando il bambino piange il suo mostruoso papà, dopo una lotta furiosa e disperata, ci si spezza addirittura il cuore.

Ritmo lento, ragionato, che alterna momenti di riflessione (il lungo, splendido flashback sul passato di Imboca) a scoppi improvvisi di violenza e frenesia (la fuga di Paul dall’albergo). Bellezza che nasconde orride propaggini tentacolari (Macarena Gòmez che scopre la parte inferiore del suo corpo), e scene splatter centellinate al minimo indispensabile, così, quando arriva il momento di premere sull’acceleratore, Gordon imbastisce un momento di gore talmente estremo che i fanciulletti del torture porn possono solo andare a nascondersi in cantina. Un finale tragico, poetico e struggente che si svolge dove tutto è iniziato, nell’immensità abissale dell’Oceano, dove “We shall dive down through black abysses and in that lair of the Deep Ones, we shall dwell amidst wonder e glory forever”.

L’ombra di Lovecraft ha segnato tutta la carriera di quel personaggio straordinario e unico che è Stuart Gordon. Viene da chiedersi cosa potrebbe fare, oggi, il regista, se solo avesse a disposizione dei mezzi adeguati alla sua fantasia sfrenata. Eppure ci va bene anche così, perché Yuzna e Gordon sono gli alfieri di quel cinema indipendente e orgoglioso che rifiuta a prescindere qualunque faciloneria hollywoodiana e si permette di essere anacronistico e volutamente “basso”, veicolando contenuti reali, narrando storie che non ci stancheremmo mai di ascoltare, riportandoci a quando l’orrore era una cosa seria, una nicchia per chi sapeva andare oltre il brividino indotto, per chi cercava, al di là di tette e frattaglie, uno straccio di poetica, qualcosa da ricordare.

VOTO 9

© ilgiornodeglizombi - Tutti i diritti riservati
 
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view post Posted on 20/5/2013, 15:58
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Lascia ch'io pianga, mia cruda sorte, e che sospiri la libertà
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Sembra interessante...vedo se su Cineblog riesco a trovarlo...
 
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view post Posted on 16/6/2013, 02:43
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Sapiente Malizioso
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Dopo una recensione ben redatta e appassionata come quella sopra è difficile aggiungere qualcosa, sopratutto riguardo alla realizzazione del film, perchè è già stato scritto tutto! :D
Siccome l'ho rivisto recentemente, proverò a dare qualche mia personale impressione. Premessa (necessaria per capire il metro di giudizio finale): ero ben conscio d'aver davanti un prodotto di serie B, quindi costruito con mezzi poveri, tanta voglia di fare unita e passione per il mestiere. Come ricordato sopra, la partenza in mare aperto con la burrasca che c'è/non c'è, con inqudrature a giorno alternate a quelle notturne, con nebbia che c'è un po' si e un po' no, non è delle più incoraggiante, ci si prepara al peggio, sperando che questo peggio non sia tanto brutto :)
Una volta sbarcati a Imboca la situazione cambia: questi strani autoctoni che parlano uno spagnolo gutturale (l'ho visto in lingua originale) inquietano, allo stesso modo dell'atmosfera malsana che pervade stradine e casupole del villaggio.
Tutto questo blocco con le varie scoperte, il senso d'oppressione e l'inseguimento, che costituisce il grosso del film, ha il fascino lovecraftiano menzionato sopra. Qualcosa, che non è ben chiaro (Rabal sarà quello, che col suo racconto, svelerà l'inizio dell'incubo), pare essere sempre incombente e nonostante l'ingenuità di qualche di passaggio o un paio di effetti caserecci, la sensazione rimane.
Si giunge così al blocco finale, con la già menzionata scena splatterosa, seguita dalla cerimonia. A mio avviso questa è la parte più debole (ovviamente non mi riferisco al momento in cui LUI appare :D ); tutto diventa frenetico e confuso, la sceneggiatura deraglia e la spiegazione che viene data è un po' sconclusionata (spiegare Lovecraft a parole non dev'esser stato così semplice).
In definitiva, pur non essendo una pellicola eccelsa, ha, decisamente, del fascino e mi pare sia uno dei tentativi più riusciti di portare "il solitario di Providence" sullo schermo. Il tutto si fonda, da parte di Gordon, sulla comprensione dei testi Lovecraftiani, che propongono un elemento che fa da base a tutti (o quasi) i migliori horror: mostrare il meno possibile, suggerire, lasciare che un alone sinistro volteggi nell'aria. Per me è un film da vedere (con occhio benevolo).

VOTO 6,5
 
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