"Il discorso del Re" è un film incentrato sui rapporti: il rapporto tra l'uomo e la sua infanzia, tra l'uomo e la sua voce, tra l'uomo e la sua famiglia, tra l'uomo e il suo ruolo.
Bertie, che non vuole guardare al passato perchè ne ha paura come del futuro, impara a fidarsi di sè stesso e dei suoi sentimenti (per poi tramutarli in emissione vocale) nel momento in cui impara a fidarsi del suo unico amico, Lionel. Il percorso "formativo" di quest'uomo ci viene presentato come una sorta di parto, il parto di un suono, di una parola, di una frase, infine del discorso: ma è soprattutto il lento sciogliersi delle barriere dietro cui si celava il vero Bertie, temprato dagli eventi e dal ruolo istituzionale della sua famiglia. Emerge nettamente il contrasto fra il concetto di famiglia a cui lui è abituato, con una madre "figurante", un padre burbero che si fa temere dai figli, una accesa rivalità tra fratelli, e, al contrario, la famiglia che Bertie si crea, con una moglie che gli sta sempre accanto, due figlie che lo amano e non hanno paura di lui, ed un padre che trova il tempo per raccontare loro le favole. Interessante a questo proposito la scena in cui, dopo l'incoronazione, incontra nel corridoio le due figliolette, le quali, anzichè baciarlo e abbracciarlo come loro solito, si bloccano intimorite e gli fanno un inchino, chiamandolo Sua Maestà anzichè "papà"; la faccia del Re è quella di un uomo che teme di diventare proprio come suo padre, di essere per le sue figlie un'icona mitica e inaccessibile.
Rimane sempre una costante del film, infatti, la spiccata umanità e semplicità di questo sovrano e della sua consorte: nei momenti di sconforto, Bertie tenta di giocare la carta della superiorità, accusando Lionel di non avere diplomi nè qualifiche, o di essere un povero attore fallito: ma la realtà è che Bertie e sua moglie si troverebbero molto meglio cenando a casa di Lionel piuttosto che ai sontuosi ricevimenti di Miss Simpson.
Il ritratto di Giorgio VI è quindi molto positivo, ispira tenerezza, sicurezza, coraggio.
Per quanto riguarda l'aspetto visivo, il film si svolge quasi interamente in interni: scelta importante, quasi a voler trasmettere allo spettatore il senso di soffocamento che prova il protagonista; allo stesso modo è geniale lo studio di Logue, così spoglio da non permettere distrazioni, l'unico protagonista è il suono e il pensiero. Molte belle inquadrature (stupenda quella durante il discorso di insediamento, dal basso verso l'alto, a rimarcare il senso d'inferiorità del singolo rispetto all'uditorio: inquadratura che viene invece abbandonata sul finale, quando ormai Bertie ha conquistato il suo discorso, e può permettersi di affacciarsi al balcone e guardare un'intera nazione dall'alto), colonna sonora splendida, perfetti gli inserimenti storiografici, da Churchill (identico!) unico lungimirante in un momento in cui il fenomeno Hitler era piuttosto sottovalutato, fino al bel filmato del discorso del dittatore, così diverso rispetto al sovrano britannico, e così carico di poteri rispetto allo stesso.
Infine plauso al cast, davvero lodevole; ho visionato il film in lingua originale, e ho colto tre splendide interpretazioni: Geoffrey Rush è meraviglioso, corrosivo ma premuroso; Helena Bonham Carter deliziosa e intensa; e Colin Firth sensazionale, davvero da Oscar.
Voto: 7.5