SIDO di
ColetteRomanzo, 1930, Adelphi, pagine 95
Sido altri non è che il nome col quale il padre di Colette, “Il Capitano”, usava chiamare la moglie ed è il diminutivo di Sidonie. Questo delicato omaggio alla sua vita famigliare di giovinetta ci consegna il ritratto di una donna forte ma delicatissima, spesso dedita al suo giardino fiorito, circondata da ortensie e rose dal colore rosso. Sido, è madre premurosa, ma anche donna frizzantissima dal grande cuore e colma di grande amore per i figli. Colette si rispecchia in lei, intuisce che molto della madre ha contribuito a delineare il suo modo di essere e questo libricino è il suo modo per ringraziarla. La preoccupazione di Sido e’ quella di portare il calore e la luce con la sua presenza presso i suoi cari e vi si dedica sempre con grande passione e trasporto.Questa donna di provincia, profonda conoscitrice dei venti, non è però un’ingeua contadinotta, ma un’elegante signora, che conosce la via mondana parigina, anche se ne resta lontana. Viene poi tinteggiata la figura del padre di Colette, “poeta e cittadino” che si muove in questo paesaggio rurale ingabbiato dall’amore incondizionato e infinito per Sido. Il capitano è un uomo che la figlia non ha mai capito sino in fondo, solo dopo la sua morte Colette ne ha compreso l’enorme devozione per la madre. La perdita della gamba durante la guerra aveva reso quest’uomo buonissimo in un devoto marito con l’unica preoccupazione di morire dopo la consorte. Passiamo poi alla descrizione dei “selvaggi”, i due bei fratellastri di Colette, complici irrequieti, dotati di grande intelligenza e ingegno! Ci viene raccontato un loro gioco letterario molto carino: scelta una parola appropriata, in questo caso “grazioso”, i due leggendo un qualsiasi romanzo avrebbero dovuto pagare pegno versando in un salvadanaio 2 monete d’oro ogni volta che avessero incontrato la parola tabù; avrebbero invece prelevato 10 euro se il libro fosse risultato “vergine”. Le ultimissime brevi pagine sono dedicate alla sorella maggiore, “l’estranea, la bruttina piacente”, sposatasi nonostante il parere contrario della madre.
Questo “grassioso” romanzo non ha nulla di retorico né di autocompiaciuto, m’è parso molto “sentito”, conserva sia la brillantezza che l’eleganza del suo modo di scrivere, ma nello svolgimento ha un qualcosa di nostalgico, di dimesso, gli manca quel “quid” che m’aveva fatto adorare “Il grano in erba”. Se confrontiamo le due opere qui si nota la mancanza della freschezza, di un ritmo giocoso che invece esondava dalle pagine di quell’altra e la rendeva quasi magica. M’ha come dato l’impressione di essere al cospetto di una tela ormai un po’ stinta che si contempla con malinconia. Per chi ha già imparato ad apprezzare Colette ma non solo..
VOTO 6,5
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